Molti anni fa proposi all'amico Italo Allodi, Gran Maestro di Coverciano, di varare un corso per presidenti. Scherzavo ma non troppo e Allodi mi rispose sullo stesso tono: «E poi noi dirigenti che fine facciamo?». Era in atto, allora come oggi, forse come sempre, una pesante crisi di vertice: follìe di mercato, allenatori in giostra, proteste ultrà. Presidenti allo sbaraglio per capricci, fallimenti e la tipica mentalità da “sciur padrun da li beli braghi bianchi” che portavano dalla fabbrica al club. Ma non si parlava di Ferguson, dell'esempio poi venuto da Manchester di affidare un club famoso come l'United a un tecnico che ne avrebbe conservato la guida per ventisette anni - dal 1986 al maggio scorso - vincendo due Champions, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Uefa, una Coppa Intercontinentale, una Coppa del Mondo per club, tredici scudetti e cinque Coppe d'Inghilterra. Una vita, una storia. Un esempio che l'Italia pallonara ha sempre respinto perché il presidente/padrone da noi vuole divertirsi soprattutto a licenziare i dipendenti/allenatori, cosa che gli è impedita in azienda con i dipendenti impiegati e operai. Registrato il flop del Napoli, anche domenica sconfitto perché Benitez non ha ancora capito che cos'è il calcio nostrano, dove anche un pivello intelligente come Montella può farti fuori con una mossa tattica azzeccata, vien da pensare al logico processo di crescita che il club avrebbe vissuto se alla sua guida fosse rimasto Mazzarri; ma il vulcanico maremmano voleva comandare lui, sul campo, con la squadra, mentre al gran pagatore De Laurentiis è venuta presto la voglia, dopo un inizio prudente, di metter naso nelle cose tecniche. Ha scelto Benitez e, orgoglioso, ha gridato con lui la parola proibita, «Scudetto», aggiornando partita dopo partita il progetto iniziale che oggi ha un solo obiettivo, la Coppa Italia. Mazzarri, nel frattempo, ha lasciato la pur prestigiosa periferia calcistica per tentare il grande colpo con una grande, l'Inter, che grande non è per pure ragioni tecniche ma pretende d'esserlo e impedisce un work in progress di largo respiro. Moratti ha fama di generoso, se non altro per gli euromilioni che ha buttato nel calcio, ma non è stato capace di trattenere all'Inter Josè Mourinho dopo il Triplete, assicurandosi per lustri l'unico vero tecnico capace di farsi Ferguson; la prova che un presidente può stimare un tecnico, ma non troppo, sta nel fatto che, perduto Mou, Moratti ha tenuto quasi tutti i pedatori trionfanti nel Triplete affidandoli - sicuro di poter cogliere altri successi - prima a Benitez, poi a Leonardo, Gasperini, Ranieri, Stramaccioni, infine a Mazzarri, tecnico adatto a una ricostruzione ma già messo in discussione da Thohir. Al Milan, anche l'Illuminato Cav.Dott.Pres.Padr. ha sbagliato la mossa del tecnico, consegnando la squadra più confusa e immatura e povera di classe (non basta Kakà) a un giovanotto ambizioso, Clarence Seedorf, che ha vinto tutto da calciatore ma non ha mai fatto esercizi di umiltà e nelle ultime ore è stato costretto a mortificarsi nelle idee e negli atti «perché l'amministratore delegato vuole punti anche giocando male». Fossi in lui - e con un importante conto in banca - darei le dimissioni. E dire che il Milan era forse l'unico club in grado di darsi un Ferguson nella persona di Carlo Ancelotti, otto anni filati e con ottimi risultati in uno staff “fergusoniano” dove Berlusconi, Galliani e Braida sono stati insieme ventott'anni. Carlo può anche perdere un Clasico, ma Inghilterra, Francia e Spagna lo hanno promosso Maestro forever.