Mia figlia di sedici anni, esce alle sette e trenta da casa per andare a scuola, spesso non torna a pranzo, senza nemmeno avvertire, ritorna a sera e dopo un velocissimo e sbrigativo "ciao" elenca una serie di necessità impellenti che bisognerebbe in fretta soddisfare (ricarica cellulare, mascara, felpa…). Spesso infastidita da lamenti e capricci dei fratelli, mangia frettolosamente per andare in camera, giustificandosi con "devo studiare". Acquisti e vestiti la rallegrano evidentemente nel brevissimo periodo. È tutto normale, è una fase dell'adolescenza rispetto cui pazientare o dobbiamo intervenire? Come? Antonella PesiniA sedici anni può capitare che la casa diventi stretta, può capitare che fuori si stia meglio, e che quando si è dentro venga voglia di rifugiarsi in camera per farsi i fatti propri. Tanto più se ci sono fratelli lamentosi e capricciosi. A sedici anni può anche capitare che non si voglia più, o non si riesca a raccontare di sé e ci si nasconda dietro sbrigativi "ciao", giusto per sfuggire all'imbarazzo di non sapere che cosa, o come dire. Rispetto a questi comportamenti non si tratta tanto di avere pazienza, quanto di metterli in conto e semmai di provare a capire come sia possibile favorire un clima che permetta di più lo scambio di giudizi, che favorisca la voglia di raccontare, di condividere e di esserci. Ma nella storia che ci viene proposta oggi ritroviamo due elementi in più. "Spesso non torna a pranzo, senza nemmeno avvertire", viene lamentato. Questo atteggiamento significa effettivamente prendersi un permesso di troppo, che non tiene conto dell'altro che aspetta e chiede di essere almeno avvisato sulla propria presenza a tavola. Un modo per favorire un cambiamento positivo è certamente il richiamo a una semplice regola di buona convivenza, ma non possiamo pensare sia sufficiente. Ciò che aiuterà davvero la ragazza è avere la certezza da parte sua che qualcuno la sta aspettando con piacere e che fa la differenza il fatto che lei avvisi o meno, ma soprattutto che lei ci sia: verrà in questo modo facilitata nell'includere l'altro nell'orizzonte del suo universo. La cena come appuntamento, quindi."Elenca una serie di necessità impellenti che bisognerebbe in fretta soddisfare... Acquisti e vestiti la rallegrano evidentemente nel brevissimo periodo", viene aggiunto e questo ci dice qualcos'altro. Si verifica spesso, e non solo nei più giovani, un errore di pensiero: cercare conforto negli oggetti, affidare al loro possesso la possibilità di rallegrarci. Il bel titolo di un libro di qualche anno fa lo diceva bene: la sicurezza degli oggetti. In realtà, il conforto che ne deriva dura poco e sorge presto il bisogno di qualcos'altro che vada a colmare il vuoto. È innanzitutto un vuoto di soddisfazione ciò che ci spinge a confidare troppo nel possesso. Se infatti la vita è ricca di soddisfazioni – con lo studio, gli amici, la famiglia, lo sport, le passioni e gli interessi – non abbiamo bisogno di confidare troppo negli oggetti, di appoggiarci a loro per stare in piedi. Non ci sembreranno irrinunciabili. Perché è il rapporto che, quando va bene, è ciò che veramente soddisfa. Sono le persone, non le cose. Allora, auguriamo a questa ragazza l'accadere di nuove occasioni e nuovi incontri che la rilancino, così come la possibilità di ripensare in modo diverso a ciò che c'è già, sapendo in esso discernere ciò che fa star bene da ciò che, forse, è meglio abbandonare.Con una vita piena, viene facile avvisare se non si torna. Con una vita piena le cose stanno al loro posto per il valore che effettivamente hanno e persino i fratelli più insopportabili divengono, in qualche modo, tollerabili.Inviate i vostri contributi a: giovanistorie@avvenire.it