Il tempo dei padri: briganti e guardiacaccia
allude il titolo del libro non è solo la bufera di neve che sorprende Bruno, suo padre e la sorellina Dora tra i sentieri e i crepacci di montagna, trascinandoli in un’avventura drammatica che cambierà per sempre la loro vita. E’ il tormento quotidiano di un ragazzino che sta crescendo a tu per tu con il padre, ex guardiacaccia, tornato a casa dopo essere stato cinque anni di ospedale, in coma, in seguito a un brutto incidente in montagna. E’ una persona indurita dall’esperienza quest’uomo che Bruno stenta a riconoscere come suo papà: nervoso, taciturno, talvolta assente e spesso severo più del dovuto. Bruno, che ha tredici anni, lo osserva di continuo; un po’ lo teme - i suoi castighi forti e sbrigativi lo umiliano, ogni volta li sente come una lama che gli trafigge il cuore - ma nello stesso tempo lo adora, ne ha un’ammirazione sconfinata, vuole corrispondergli, assomigliargli, essere apprezzato in ciò che fa, imparare a diventare un uomo come lui. L’occasione giusta per stare insieme e conoscersi si presenta con la proposta di un’escursione verso le rocce e la vetta di quella montagna traditrice che ha cambiato per sempre suo padre. Una sfida da raccogliere ma piena di incognite. Il ragazzo e la tempesta (Rizzoli; 10,50 euro) è una storia intensa che parla di crescita, di emozioni e di coraggio. Di amore di figlio e amore di padre che non sempre sono sulla stessa lunghezza d’onda. Essenziale, senza fronzoli, a volte tagliente ma mai privo di tenerezza, il linguaggio di Antonio Ferrara – indimenticabile autore di Batti il muro e Ero cattivo – ci accompagna attraverso un racconto di formazione che rapisce anche il lettore adulto. Dai 12 anni in su.
Il tema della paternità è centrale anche nell’ultimo romanzo di Ermanno Detti, ambientato questa volta nella Maremma di fine Ottocento, terra poverissima, buona per allevare cavalli e mucche, ricca di paludi, zanzare e malaria. Terra di butteri e di malfattori, richiamati nel tempo da altri Stati grazie all’impunità garantita per decreto fin dal Cinquecento allo scopo di incrementare la popolazione della zona. Banditi di mestiere, i cosiddetti briganti in Maremma avevano un po’ cambiato pelle, offrendo ai ricchi proprietari protezione dai ladri di bestiame. In uno dei casolari isolati fra le colline maremmane a ridosso delle paludi, vivono il giovane Vanni e la madre Bella. Il ragazzo sa bene chi è suo padre, da sempre lo chiama Riccio: è un brigante di mestiere, una specie di primula rossa della Maremma che di tanto in tanto si materializza in famiglia e altrettanto velocemente sparisce. Siamo nel 1899 e ormai l’Italia è un Paese unificato sotto lo stemma dei Savoia. Sebbene con mezzi insufficienti, il nuovo Stato è deciso a contrastare l’illegalità e a debellare il brigatismo. Anche per Riccio, che pur è un brigante gentiluomo – lo percepiamo tra le righe anche se su di lui pendono accuse ufficiali gravissime – sono tempi duri. Le forze dell’ordine in allerta aspettano solo di catturalo. Vanni di suo padre non sa nulla, coglie a tratti i segni della sua preoccupazione per lui e sua madre, di notte gli porta viveri e vestiti, ma certo non conosce gesti di affetto o di tenerezza, né parole generose e lievi, di stima e comprensione. Anzi, i suoi toni autoritari lo mettono in soggezione e sanciscono tra i due una distanza affettiva incolmabile quanto dolorosa. Vanni deve crescere in fretta e occupare alla fattoria il posto che sarebbe di un padre e intanto fare i conti con la sua età di ragazzo, la voglia di divertimento, il bisogno di amicizie e di affetti. Un tragico fatto di sangue, scatena le forze dell’ordine sulle tracce di Riccio, sospettato di essere l’esecutore di una vendetta e intanto riaccende nel ragazzo una serie di dubbi e domande sui quali è difficile fare chiarezza. Romanzo di formazione
e insieme romanzo storico, L’ultimo dei Briganti (Sonda, 14 euro) apre uno sguardo su un tempo e una realtà poco conosciuti, quelli della terra maremmana negli ultimi giorni che preludono all’inizio del nuovo secolo. Proprio grazie alla voce di chi, come Ermanno Detti, la Maremma la conosce per averla studiata appassionatamente a fondo, oltre che esserci nato e vissuto per molti anni. Dai 12 anni in su.