Popotus

Se non sei in Comune non sei nessuno

giovedì 15 ottobre 2015
​Non ci crederete, eppure tutti noi cittadini italiani (ma anche le altre persone che vivono in modo stabile nel nostro Paese) abbiamo qualcosa... in Comune. No, non è un errore di stampa: la C è maiuscola perché per Comune s’intende l’ente che amministra la città o il paese in cui abitiamo. E le cose che tutti abbiamo in Comune sono il nome, il cognome e l’indirizzo. In realtà ce ne sono molte di più, per esempio se viviamo da soli o con la nostra famiglia, di quante persone è composta la famiglia, come si chiamano e quale grado di parentela hanno i suoi componenti: papà, mamma, figli, il nonno o la nonna se abitano con loro... Come dite? No, cani, gatti e pesci rossi non sono registrati, anche se hanno un nome. Scherzi a parte, questo tipo di servizio si chiama “anagrafe” – dal verbo greco che significa “iscrivere” o “registrare” – e serve proprio a tenere sempre aggiornati i dati di coloro che vivono in un dato Comune. È fondamentale. Pensate, senza l’anagrafe sarebbe come se nessuno di noi esistesse per gli altri. «Che bellezza», potrebbe pensare qualche furbetto in un primo momento: niente anagrafe uguale niente iscrizione a scuola, perciò niente compiti e al parco giochi tutto il giorno. Basta riflettere solo un momento, però, per capire che il furbetto, come al solito, non lo è affatto: niente anagrafe significa anche niente medico di base (chi “non esiste” non può avere bisogno di un medico!), niente codice fiscale (sì, serve per farci pagare le tasse, ma anche per avere diritto a molti servizi pubblici), niente indirizzo al quale ricevere la posta (e poi, chi mai scriverebbe a qualcuno che “non esiste”?), niente abbonamento al bus e alla metropolitana, perfino niente biglietto per lo stadio... Per questo, appena nasce un bambino i suoi genitori devono iscriverlo all’anagrafe: da quel momento in poi è ufficialmente un cittadino. E quando sarà più grande andrà negli uffici comunali a richiedere un documento che si chiama, non a caso, “Carta d’identità”: lì c’è scritto chi siamo, quanto siamo alti, il colore degli occhi e dei capelli. Mostrandola al vigile, al poliziotto o all’impiegato pubblico che me la chiede dimostro che io sono proprio io. Può sembrare un gioco di parole, invece è un argomento estremamente serio. Di recente, “Avvenire” ha documentato il dramma dei bambini nati in Italia da genitori immigrati senza permesso di soggiorno: per lo Stato «non sono mai nati», quindi non possono essere registrati all’anagrafe, non possono essere curati quando stanno male, non possono andare a scuola. E, detto tra noi, poter studiare è una grande fortuna, oltre che un diritto negato ancora a troppi bambini e ragazzi in tutto il mondo.