La fiaba è servita. Cibi incantati d'Italia
Del resto come il cibo le fiabe sono un linguaggio universale. «Incontrando i bambini di tante scuole d’Italia – racconta Luigi Dal Cin – mi imbatto in storie straordinarie che arrivano da ogni parte del mondo. Ed è bello che ogni bambino possa portare il proprio contributo di immaginario e condividerlo con i compagni, come un patrimonio che appartiene a tutti. Perché le fiabe raccontano ciò che accomuna gli uomini. La vita e la morte, i desideri, le speranze, le paure, la fame, l’amore». Per questo vivono e viaggiano da secoli. Sarà, come sosteneva il grande autore irlandese William Butler Yeats, che passando di bocca, di generazione in generazione, hanno perso tutto il superfluo e mantenuto l’essenziale per l’umanità.
Nella sua ricerca Luigi Dal Cin ha attinto da antiche e originali raccolte di fiabe della tradizione popolare nostrana, scartabellando volumi poco noti, con l’intento di individuarne alcune tra le meno conosciute. Il punto centrale dello studio riporta a un cibo che abbonda nelle fiabe ma non sulle tavole, drammaticamente vuote, dove la povera la gente non riesce a mettere granché.«Nelle fiabe – spiega l’autore - si parla di cibo proprio quando questo scarseggia nella vita reale. Molte fiabe italiane prendono l’avvio dalla fame, condizione che ha accompagnato per secoli la vita dei nostri contadini. È la fame, nella fiaba veneta Le frittelle del Barba Zucon, a spingere la mamma – che ha ricevuto in dono un pugno di farina – a chiedere in prestito la padella del terribile Barba Zucon, ed è la fame che spinge la figlia a mangiare le frittelle che dovevano essere il segno di ringraziamento per il prestito: la fame innesca un crescendo di conseguenze paurose con l’orco deciso a vendicarsi, in cui però, alla fine, l’astuzia e l’amore vincono contro la forza bruta. È ancora la fame, in una fiaba sarda La cena della strega, a spingere la donna con in tasca un solo seme di fava a cercare di scambiarlo, astutamente, con qualcosa di più consistente da mettere sotto i denti». Lo stesso può dirsi di Pentolino, fiaba toscana, dove la fame coinvolge una famiglia numerosa e spinge l’ultimo nato, che non è un bambino ma un pentolino di rame, a intrufolarsi nelle cucine dei ricchi, a farsi riempire di buone pietanze per poi correre a sfamare la famiglia. «Ma la fame più nera non è vinta solo da furbizia, abilità e destrezza. Spesso entrano in campo aiutanti magici che premiano con l’abbondanza un gesto di generosità - continua Luigi dal Cin – come il pezzo di formaggio che la giovane protagonista di La padella magica, fiaba dell’Alto Adige, regala per compassione a un nano di montagna, ricevendo in cambio una padella che magicamente si riempie di cibo per sfamare sette sorelle. Altre volte invece la crudezza della fiaba si piega all’armonia della natura, accostando la bellezza di giovani donne alla freschezza e al colore di piante e frutti». Ragazze magicamente nate dal rosmarino, innaffiato con il latte, o solari come i limoni che si faranno conquistare dal principe solo quando questi riuscirà ad andare oltre le apparenze, a cogliere quel che non si vede.