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«Non arruolatevi tra i terroristi dell'Is» La Francia trasmette uno spot in tivù

Paolo Alfieri mercoledì 7 ottobre 2015

​In molti Stati europei negli ultimi mesi è cresciuto il reclutamento da parte dei gruppi terroristici che operano in Siria e in Iraq, come lo Stato islamico (Is). Soprattutto attraverso i social network su Internet, o anche con il semplice passaparola, i reclutatori riescono a coinvolgere ragazzi e ragazze occidentali - qualcuno ha appena 15 anni - purché di religione musulmana. Attirati da false promesse e dall'illusione di realizzare se stessi attraverso atti di violenza, questi giovani partono di nascosto dalle famiglie e si ritrovano poi in situazioni pericolose e così più grandi di loro che diventa poi difficile tornare indietro. Ecco perché in Francia il governo ha lanciato una serie di spot televisivi con l'obiettivo di prevenire la partenza dei giovani per la Siria o l’Iraq. Nei brevi filmati, che verranno diffusi gratuitamente da una ventina di media e siti francesi, quattro famiglie coinvolte in prima persona raccontano il loro dolore: Veronique, Baptiste e Saliha hanno ciascuno un figlio partito per la Siria, Jonathan una sorella di 17 anni. I protagonisti degli spot, ciascuno della durata di un minuto e mezzo, raccontano la loro sofferenza per convincere altri giovani a desistere. Alla fine compare sullo schermo un numero gratuito al quale è possibile segnalare quei ragazzi che potenzialmente hanno mostrato desiderio di partire per arruolarsi con i gruppi terroristici. A questo numero sono già arrivate 3mila segnalazioni, il 23% delle quali riguardano minorenni, in gran parte ragazze. Molte giovani vengono reclutate da altrettanto giovani terroristi dello Stato islamico, che spesso chiedono loro di sposarle, un modo per attirarle fuori dai loro confini.

Secondo il primo ministro francese Manuel Valls, «ci sono 1.300 individui che frequentano questi ambienti terroristici» e sono già «più di 500 i francesi o residenti in Francia che si trovano oggi in Siria o in Iraq». Stando a Valls, «ci sono anche centinaia, se non migliaia di giovani a rischio di radicalizzazione. È una sfida considerevole per la società che rende necessario mobilitare le famiglie».