Popotus

«A pranzo, verdure con contorno di storie»

Rossana Sisti sabato 28 novembre 2015

​Le fiabe per lei sono state per tanto tempo un piatto forte servito a tavola Il piacere di ascoltarle e ora di raccontarle, per Elisabetta Gnone arriva da lontano.

«Eravamo bambini e mio papà, geologo di mestiere, viaggiava molto e spesso era via da casa – racconta la scrittrice - così mia mamma a pranzo ci coccolava in modo speciale leggendoci libri e libri di fiabe classiche mentre mangiavamo. Non c’era momento più bello, perché noi potevamo intervenire e contraddire i finali, criticare i personaggi, salvare il lupo e condannare Cappuccetto Rosso. Credo nel frattempo di aver mangiato senza accorgermene quintali di verdura. Ma ripensandole oggi quelle fiabe sono state per me un cibo per l’anima. Coccole e tenerezze che non posso dimenticare. Raccontare fiabe è importante, del resto se sopravvivono da così tanto tempo un motivo ci deve essere, ma è un regalo ancora più bello riceverle da qualcuno come un messaggio carico di affetto». Da adulta poi Elisabetta ha scoperto che con le storie ci sapeva fare e che la cosa  le piaceva molto. È diventata giornalista, sceneggiatrice e poi direttore delle riviste per bambine della Disney, per cui ha creato nel 2001 la popolare serie a fumetti W.I.T.C.H.  Infine ha imboccato decisamente la strada della scrittura con l’altrettanto fortunata saga di Fairy Oak. «Mi piace creare mondi – spiega – ogni volta mi sorprendo perché succede che ho in mente un personaggio, che comincio a vestire e a cui affido un carattere e un ruolo, ma subito il campo si allarga pian piano a far spazio ad ambienti diversi e ad altri personaggi, molti dei quali si affollano lì, nella mente e in punta di penna, senza che io possa capire come e da dove vengano. Alcuni poi prendono il sopravvento, chiedendo persino un carattere diverso da quello che istintivamente avevo pensato per loro. E non procedono finché non cedo. È sempre un mistero la nascita di una storia». Ma delle due Olga della fiaba  Elisabetta Gnone aveva ben presente i destini incrociati: per una raccontare storie che scaldano il cuore e consolano gli animi, per la bambina di carta diventare il simbolo della fragilità e dell’imperfezione naturale di ciascuno di noi. «Volevo raccontare quanto è faticoso accettare di essere se stessi, affermarsi con le proprie imperfezioni. Ma anche la difficoltà di accettare la diversità altrui. Olga di carta desidera una vita nuova, vuole diventare una bambina normale, di sé vede solo fragilità e nessuna dote. Ma ogni persona ha in sé grandi valori». Il fatto è che riconoscere il proprio valore di persone uniche al mondo non è semplice, è quello che gli adulti chiamano fatica di crescere. E che, come ogni fiaba racconta, è un lungo viaggio straordinario. «Per crescere bisogna aver voglia di affrontarlo, magari scegliendo compagni di strada leali e sinceri».