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Una Palermo rovesciata, dove è la mafia a dettare le leggi

Rossana Sisti sabato 17 ottobre 2015

​«Palermo è davvero una città a testa in giù, come mi ha detto papà: gli skateboard che dovrebbero servire ai bambini per giocare, qui li usano i grandi per sistemare le bombe; i bambini che dovrebbero vivere più dei grandi, qui spariscono come aspirine...». Se ne accorge all'improvviso il piccolo Giovanni, protagonista del libro che un giornalista ha scritto per spiegare al figlio chi era Giovanni Falcone, il giudice ucciso dalla mafia il giorno in cui lui diventava papà. Ma a colpire non è questa Palermo rovesciata, è scoprire che la mafia e le sue leggi ingiuste sono diventate la normalità.

Un clima che serve alla criminalità organizzata per fare tranquillamente i propri sporchi traffici: comprare e vendere droga e armi, costruire case dove gli fa comodo, spadroneggiare infischiandosene delle istituzioni, uccidere chi vorrebbe ristabilire l'ordine dello Stato. Anche il padre del piccolo Giovanni pagava il pizzo ai mafiosi come avevano fatto suo papà e suo nonno: non pensava che fosse sbagliato, credeva che quei soldi versati per forza fossero utili al negozio. E il piccolo Giovanni non era da meno: dava la sua paghetta a un compagno prepotente, uno che spillava soldi a tutti e faceva cadere dalle scale chi si rifiutava. A far cambiare idea al papà furono la morte di Falcone e la nascita di Giovanni: capì che pagare il pizzo finiva per aiutare la mafia a comprare bombe e pistole. Perciò denunciò quelle persone; gli bruciarono il negozio, ma lui non si arrese. La storia del giudice Giovanni riesce a scuotere anche il bambino che non cede al bullo e difende un compagno. Si prende un pugno, ma non si scoraggia. Per questo mi chiamo Giovanni, svela il titolo del libro scritto da Luigi Garlando (Frabbri editori, 9 euro).