La visita a Roma Tre. Il Papa agli universitari: dialogo, concretezza e integrazione
Papa Francesco parla davanti al Rettorato dell'Università Roma Tre (Siciliani)
Sono quattro le parole consegnate dal Papa agli universitari di Roma Tre, nella sua prima visita a un ateneo statale italiano. Quattro termini che racchiudono ciascuno un modo d'essere, non solo del cristiano ma di ogni essere umano che intenda impegnarsi a migliorare il nostro stare al mondo. Queste le consegne: il dialogo, per arginare ogni forma di violenza; la geometria del poliedro, ovvero l'unità nella diversità; la concretezza, nelle scelte economiche, sociali e culturali; l'integrazione, che scaccia le paure e che è la prima soluzione alla questione dei migranti.
Un discorso alto e concreto, quello di Francesco, che ha citato Charlie Chaplin, la teoria gravitazionale e il sociologo Bauman, teorico della "società liquida". Ma soprattutto un discorso fatto interamente a braccio, guardando negli occhi quel migliaio e più di giovani studenti che l'hanno accolto con un abbraccio caloroso e festoso. E che più volte hanno applaudito le sue parole.
Un clima di euforia
Una mattinata di sole e di entusiasmo. È in questo clima, che il rettore Mario Panizza nel suo saluto ha definito “di euforia”, che si è svolto l’incontro tra papa Francesco e studenti, docenti e membri del personale dell’università di Roma Tre, la più giovane di Roma, creata nel 1992. Il Pontefice è arrivato prima delle 10, accolto da una folla di studenti e familiari emozionatissimi. Strette di mano, selfie, video, foto. L’incontro è avvenuto all’aperto, nel piazzale antistante il Rettorato, dove erano state messe 1.200 sedie. Il Papa è rimasto fin quasi a mezzogiorno, dopo avere parlato per oltre 40 minuti. Al termine lo hanno salutato, oltre al rettore, la prima rettrice Bianca Maria Tedeschini Lalli, il ministro della Pubblica istruzione, Valeria Fedeli e il fondatore della comunità di Sant'Egidio Andrea Riccardi, professore dell'ateneo.
Le 4 domande degli studenti
Quattro studenti gli hanno posto domande a nome di tutti. Per prima ha parlato una ragazza, Giulia: “Quali possono essere le medicine per contrastare le manifestazioni di un agire violento?”. Poi è stato il turno di un giovane barbuto, Niccolò: “Qual è il valore e il significato di Roma per il suo vescovo, un Papa che viene dall’altra parte del mondo? E si può ancora parlare di communis patria”. Terza domanda, da parte di Riccardo: “Stiamo vivendo un cambiamento d’epoca, per il quale è necessaria una coraggiosa rivoluzione culturale. In un mondo globalizzato, dove le informazioni sono veicolate per mezzo di social network, come possiamo prepararci a contribuire a un rinnovamento costruttivo della società?”. L'ultima domanda è di Nur, profuga siriana e giovane madre che dall'isola di Lesbo, insieme ad altri, fu portata a Roma sull'aereo del Papa. Nur chiede: “Chi proviene dalla Siria o dall’Iraq non minaccia la cultura cristiana dell’Europa?”.
Un lungo discorso a braccio
“Ho ascoltato le vostre domande, le ho lette prima” ha esordito Francesco suscitando l’ilarità dei presenti. “Le ho lette e ho scritto un discorso che consegnerò al Rettore, poi lo leggerete” ha aggiunto. “Ma prima vorrei rispondere spontaneamente perché mi piace così”. E messe via le carte ha proseguito a braccio. IL TESTO DEL DISCORSO CONSEGNATO AL RETTORE
Contro ogni violenza, la pazienza del dialogo
Prima domanda: come arginare la violenza? “Giulia, tu hai parlato di violenza. I toni del linguaggio oggi sono saliti. Si insulta, si grida, a casa, per strada. C’è anche una violenza del parlare”. Di fronte a un problema, magari nel traffico, prima si insulta, poi si chiede cos’è successo. “La fretta, la celerità della vita ci fa violenti a casa. Dimentichiamo di dare il buongiorno. La violenza è un processo che ci fa ogni volta più anonimi. Ti toglie il nome. Anonimi uno verso gli altri” osserva Francesco. Questo atteggiamento “cresce e diviene la violenza mondiale”. Il Papa torna a evocare la terza guerra mondiale in corso, una guerra “a pezzetti”. “Ci sono tante medicine contro la violenza, ma la prima è il cuore. Il cuore che sa ricevere. 'Che cosa pensi tu?' Prima di discutere: dialogare. Con il dialogo si fa l’amicizia sociale”. La violenza dei toni non è solo in famiglia, è anche in politica. “Apro il giornale e vedo che questo insulta quello… Si perde il senso della costruzione sociale, della convivenza sociale che si fa col dialogo. Per dialogare, primo: ascoltare”. In televisione, in occasione delle campagne elettorali, spesso uno parla prima che l’interlocutore finisca. “Dove non c’è dialogo c’è violenza”. “Le guerre non cominciano là fuori, ma nel nostro cuore". Quando in casa “invece di parlare si grida o si sgrida”. Quando siamo a tavola e ognuno sta sul suo telefonino. “È quello il germe, l’inizio della guerra”.
L'università: verità, bontà e bellezza
“L’università è il luogo dove si può dialogare, dove c’è posto per tutti”. "Un’università dove si va a scuola, si ascolta il professore e poi si va a casa non è un’università. Un’università deve avere questo lavoro artigianale del dialogo”. “La discussione, questo è importante”. Applauso. Francesco rincara: “Le università di élite, che sono generalmente cosiddette università ideologiche, dove ti insegnano questa linea soltanto di pensiero e ti preparano per fare un agente di questa ideologia, quella non è università. Dove non c’è dialogo, confronto, ascolto, rispetto, amicizia, la gioia del gioco non c’è università”. “Vado all’università per vivere la verità, la bontà, la bellezza. Ma questo si fa tutti insieme, è un cammino universitario che non finisce mai”. E per la gioia delle associazioni di ex alunni aggiunge: "È importante la presenza degli antichi alunni dell’università, perché i nuovi possano avere il dialogo con loro". È la gioia di fare strada insieme.
«Prendere la vita come viene. Per imparare a vivere»
Lo sguardo di Francesco torna al foglio, quello dove ha scritto qualcosa mentre gli studenti parlavano. “Riccardo, quando parlavi ho preso un appunto: cambiamento di epoca". Ma ogni epoca è diversa dalle altre, osserva. E qui il Papa regala una delle sue pillole di saggezza: "Se non impariamo a prendere la vita come viene, mai impareremo a viverla. La vita somiglia al portiere della squadra, che prende il pallone da dove glielo buttano. La vita si deve prendere da dove viene. Non viviamo i Tempi moderni di Charlie Chaplin, la nostra è un’epoca diversa. Devo prenderla come viene, senza paura. La vita è così”.
Unità, non uniformità. E il poliedro è meglio della sfera
“Dobbiamo cercare sempre l’unità. Che non è quel giornale, no" sorride. "È talmente diversa dall’uniformità. L’unità ha bisogno, per essere una, delle differenze. Unità nella diversità". Viviamo nell’epoca della globalizzazione, prosegue. "Lo sbaglio è pensare alla globalizzazione come a una sfera, dove ogni punto è ugualmente distante dal centro e tutto è uniforme. Questa uniformità è la distruzione dell’unità. Perché ci toglie la capacità di essere differenti". Francesco offre un'immagine nuova. "Mi piace parlare di un’altra figura geometrica: il poliedro che è unità nella diversità. Quando si va per quella strada il livello culturale cresce perché è un dialogo continuo fra i diversi lati del poliedro. Credo che il pericolo di oggi sia concepire una unità, una globalizzazione, nella uniformità. Questo distrugge". “Communis patria”, osserva, significa che "siamo accomunati ma distinti". Siamo diversi nel mondo.
Soluzioni concrete, no alla società liquida
"Rapidazione": il Papa usa questo neologismo per indicare la progressione geometrica nel tempo, com'è oggi per la comunicazione che "si fa sempre più veloce man mano che si avvicina, come la teoria della legge gravitazionale". "Questa rapidazione non mi tolga la libertà del dialogo". Il punto è "abituarsi al dialogo a questa velocità". "Tante volte una comunicazione così rapida, leggera, può diventare liquida, senza consistenza. L’ha detto Bauman, da tempo", la società liquida. "Dobbiamo trasformare questa liquidità in concretezza. La parola per me chiave è concretezza, contro la liquidità. Pensiamo all’economia. Un amico imprenditore, venuto dall’Argentina, mi raccontava che è andato a far visita a un altro imprenditore nel nord dell’America. E quello gli ha fatto vedere come faceva un’operazione di compravendita in dieci minuti con il computer. Ha guadagnato 10mila dollari. Quando c’è liquidità nell’economia non c’è lavoro concreto". C’è disoccupazione. Come si può pensare, chiede il Papa, che Paesi sviluppati abbiano una disoccupazione giovanile così forte? "Non dirò i Paesi ma le cifre: 40% dei giovani sotto i 25 anni senza lavoro, 47% in un Paese vicino, un altro 50%, un altro quasi il 60%. Sto parlando dell’Europa". "Questa liquidità dell’economia toglie la concretezza e la cultura del lavoro". Applauso. "I giovani non sanno cosa fare. Girano. Li sfruttano qua e là”. E arrivano alle dipendenze o al suicidio. "Dicono, io non sono sicuro, che le vere statistiche dei suicidi giovanili non sono pubblicate. Questa mancanza di lavoro mi porta ad arruolarmi in un esercito terroristico", arriva a dire il Papa. “Per risolvere i problemi economici, sociali anche culturali: concretezza. Altrimenti non si può”. “Questi problemi devono essere nel dialogo vostro, con i professori, tra voi" esorta gli universitari. "Cercare soluzioni da proporre ai problemi reali”.
Le migrazioni? Una sfida per crescere
E si arriva all'ultima domanda. "Nur ha parlato dell’identità cristiana dell’Europa". E della paura che i migranti la minaccino. “Ma io mi domando: quante invasioni ha avuto l’Europa? Voi sapete meglio di me. L’Europa è stata fatta artigianalmente così. Le migrazioni non sono un pericolo, sono una sfida per crescere. Lo dice uno che viene da un Paese dove più dell’80% sono migranti. L’Argentina dal 1880 al 1950 ci sono state ondate migratorie da tutti i Paesi. È un Paese meticcio, il sangue si è mischiato. È vero, non abbiamo una bella identità noi. Ma questo perché non sappiamo gestire le cose”. E la paura, in tutto questo? Citando Nur, il Papa va con la memoria al viaggio a Lesbo: “Ricordo, quel giorno, ho sofferto tanto. Loro sono saliti sull’aereo prima di me. Un assistente di volo ha detto che dovevano scendere per salutare. Non volevano scendere! Avevano paura di rimanere lì". "È importante, il problema dei migranti, pensarlo bene oggi". Perché c'è un fenomeno migratorio così forte, da Africa e Medio oriente verso l’Europa. "C’è la guerra, e fuggono. C’è la fame, e fuggono. La soluzione ideale sarebbe la pace o fare investimenti in quei posti perché abbiano risorse per lavorare". Invece "è gente sfruttata". "Non hanno lavoro perché sono stati sfruttati. Fuggono ma anche per arrivare in Europa sono sfruttati". I barconi e i trafficanti di uomini e donne. "Il Mare Nostrum oggi è un cimitero". "Pensiamolo quando siamo da soli, come se fosse una preghiera”.
Integrazione: il modello è la Svezia
“Ma come si devono ricevere i migranti? Come fratelli e sorelle umani. Sono uomini e donne come noi". "Ogni Paese deve vedere quale numero è capace di accogliere. Poi non solo accogliere: integrare, cioè che imparino la lingua, abbiano un lavoro, un’abitazione. “Quando è venuta Nur, tre giorni dopo i bambini andavano a scuola. Quando sono venuti da me a un pranzo dopo tre mesi i bambini parlavano italiano. Questo è integrare. Poi la maggioranza aveva lavoro”. Un'osservazione che il Papa definisce "importante": "loro portano una cultura che è ricchezza per noi, loro ricevono la nostra cultura: è uno scambio e questo toglie la paura". “I delinquenti che vediamo sui giornali sono nativi di qui o migranti, c’è di tutto”. In Europa ci sono esempi di integrazione. "La Svezia ha ricevuto tanti migranti sudamericani, ma il giorno dopo avevano un’abitazione, un lavoro, imparavano la lingua". Gli svedesi sono 9 milioni, ricorda il Papa: di questi "890mila sono migranti o figli di migranti, integrati". E cita ancora un viaggio, a Stoccolma. "Quando sono ripartito dalla Svezia è venuta a salutarmi un ministro, figlia di una donna svedese e di un padre migrato credo dal Gabon. Era un ministro". E chi Francesco conclude: "Consegno al Rettore il discorso che avevo preparato, può servire per riflettere. Vi ringrazio. Ma università è dialogo nelle differenze. E grazie tante".