Papa

I vespri a Tirana. «La consolazione dei martiri arrivò dal Signore»

lunedì 22 settembre 2014
​Ho preparato alcune parole per voi, da dirvi, e le consegnerò all’Arcivescovo perché lui dopo ve lo faccia arrivare. La traduzione è già fatta. Si può fare arrivare.
Ma adesso, mi è venuto di dirvi un’altra cosa… Abbiamo sentito nella Lettura: “Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione, con la consolazione stessa con la quale siamo stati consolati noi da Dio” (2 Cor 1,3-4). E’ il testo su cui oggi la Chiesa ci fa riflettere nei Vespri. In questi due mesi, mi sono preparato per questa visita, leggendo la storia della persecuzione in Albania. E per me è stata una sorpresa: io non sapevo che il vostro popolo avesse sofferto tanto! Poi, oggi, nella strada dall’aeroporto fino alla piazza, tutte queste fotografie dei martiri: si vede che questo popolo ancora ha memoria dei suoi martiri, di quelli che hanno sofferto tanto! Un popolo di martiri… E oggi, all’inizio di questa celebrazione, ne ho toccati due. Quello che io posso dirvi è quello che loro hanno detto, con la loro vita, con le loro parole semplici… Raccontavano le cose con una semplicità… ma tanto dolorosa! E noi possiamo domandare a loro: “Ma come avete fatto a sopravvivere a tanta tribolazione?”. E ci diranno questo che abbiamo sentito in questo brano della Seconda Lettera ai Corinzi: “Dio è Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione. E’ stato Lui a consolarci!”. Ce lo hanno detto con questa semplicità. Hanno sofferto troppo. Hanno sofferto fisicamente, psichicamente, e anche quell’angoscia dell’incertezza: se sarebbero stati fucilati o no, e vivevano così, con quell’angoscia. E il Signore li consolava… Penso a Pietro, nel carcere, incatenato, con le catene; tutta la Chiesa pregava per lui. E il Signore consolò Pietro. E i martiri, e questi due che abbiamo sentito oggi, il Signore li consolò perché c’era gente nella Chiesa, il popolo di Dio - le vecchiette sante e buone, tante suore di clausura… - che pregavano per loro. E questo è il mistero della Chiesa: quando la Chiesa chiede al Signore di consolare il suo popolo; e il Signore consola umilmente, anche nascostamente. Consola nell’intimità del cuore e consola con la fortezza. Loro, sono sicuro, non si vantano di quello che hanno vissuto, perché sanno che è stato il Signore a portarli avanti. Ma loro ci dicono qualcosa! Ci dicono che per noi, che siamo stati chiamati dal Signore per seguirlo da vicino, l’unica consolazione viene da Lui. Guai a noi se cerchiamo un’altra consolazione! Guai ai preti, ai sacerdoti, ai religiosi, alle suore, alle novizie, ai consacrati quando cercano consolazione lontano dal Signore! Io non voglio “bastonarvi”, oggi, non voglio diventare il “boia”, qui; ma sappiate bene: se voi cercate consolazione altrove, non sarete felici! Di più: non potrai consolare nessuno, perché il tuo cuore non è stato aperto alla consolazione del Signore. E finirai, come dice il grande Elia al popolo di Israele, “zoppicando con le due gambe”. “Sia benedetto Dio Padre, Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione, con la consolazione con cui siamo stati consolati noi stessi da Dio”. E’ quello che hanno fatto questi due, oggi. Umilmente, senza pretese, senza vantarsi, facendo un servizio per noi: di consolarci. Ci dicono anche: “Siamo peccatori, ma il Signore è stato con noi. Questa è la strada. Non scoraggiatevi!”. Scusatemi, se vi uso oggi come esempio, ma tutti dobbiamo essere d’esempio l’uno all’altro. Andiamo a casa pensando bene: oggi abbiamo toccato i martiri.
Discorso dato per letto:
Cari fratelli e sorelle!
è per me una gioia incontrarvi nella vostra amata terra; ringrazio il Signore e ringrazio tutti voi per la vostra accoglienza! Stando in mezzo a voi posso meglio esprimere la mia vicinanza al vostro impegno di evangelizzazione.
Da quando il vostro Paese è uscito dalla dittatura, le comunità ecclesiali hanno ripreso a camminare e a organizzarsi per l’azione pastorale, e guardano con speranza verso il futuro. In particolare, il mio pensiero riconoscente va a quei Pastori che hanno pagato a caro prezzo la fedeltà a Cristo e la decisione di restare uniti al Successore di Pietro. Sono stati coraggiosi nella difficoltà e nella prova! Ci sono ancora tra noi sacerdoti e religiosi che hanno sperimentato il carcere e la persecuzione, come la sorella e il fratello che ci hanno raccontato la loro storia. Vi abbraccio commosso e rendo lode a Dio per la vostra fedele testimonianza, che stimola tutta la Chiesa a portare avanti con gioia l’annuncio del Vangelo.
Facendo tesoro di tale esperienza, la Chiesa in Albania può crescere nella missionarietà e nel coraggio apostolico. Conosco e apprezzo l’impegno con cui vi opponete a nuove forme di “dittatura” che rischiano di tenere schiave le persone e le comunità. Se il regime ateo cercava di soffocare la fede, queste dittature, più subdole, possono soffocare la carità. Penso all’individualismo, alle rivalità e ai confronti esasperati: è una mentalità mondana che può contagiare anche  la comunità cristiana. Non serve scoraggiarsi di fronte a queste difficoltà, non abbiate paura di andare avanti sulla strada del Signore. Egli è sempre al vostro fianco, vi dona la sua grazia e vi aiuta a sostenervi gli uni gli altri, ad accettarvi così come siete, con comprensione e misericordia, a coltivare la comunione fraterna.
L’evangelizzazione è più efficace quando è attuata con unità di intenti e con una collaborazione sincera tra le diverse realtà ecclesiali e tra missionari e clero locale: questo comporta coraggio di proseguire nella ricerca di forme di lavoro comune e di aiuto reciproco nei campi della catechesi, dell’educazione cattolica, come pure della promozione umana e della carità. In questi ambiti è prezioso anche l’apporto dei movimenti ecclesiali, che sanno progettare e agire in comunione con i Pastori e tra di loro. E’ quello che io vedo qui: vescovi, sacerdoti, religiosi e laici, una Chiesa che vuole camminare nella fraternità e nell’unità.
Quando l’amore per Cristo è posto al di sopra di tutto, anche di legittime esigenze particolari, allora si diventa capaci di uscire da noi stessi, dalle nostre “piccolezze” personali o di gruppo, e andare verso Gesù che ci viene incontro nei fratelli; le sue piaghe sono ancora visibili oggi sul corpo di tanti uomini e donne che hanno fame e sete, che sono umiliati, che si trovano in carcere o in ospedale. E proprio toccando e curando con tenerezza queste piaghe è possibile vivere fino in fondo il Vangelo e adorare Dio vivo in mezzo a noi.
Sono tanti i problemi che affrontate ogni giorno! Essi vi spingono ad immergervi con passione in una generosa attività apostolica. Tuttavia, noi sappiamo che da soli non possiamo fare nulla. «Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori» (Sal 127,1). Questa consapevolezza ci chiama a dare ogni giorno il giusto spazio al Signore, a dedicargli tempo, ad aprirgli il cuore, affinché Lui agisca nella nostra vita e nella nostra missione. Ciò che il Signore  promette alla preghiera fiduciosa e perseverante supera quello che noi immaginiamo (cfr Lc 11,11-12): oltre a quello che chiediamo ci dà anche lo Spirito Santo. La dimensione contemplativa diventa indispensabile, in mezzo agli impegni più urgenti e pesanti. E più la missione ci chiama ad andare verso le periferie esistenziali, più il nostro cuore sente il bisogno intimo di essere unito a quello di Cristo, pieno di misericordia e di amore.
E considerando che i sacerdoti e i consacrati non sono ancora sufficienti, il Signore Gesù ripete oggi anche a voi: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!» (Mt 9,37-38). Non bisogna dimenticare che questa preghiera parte da uno sguardo: lo sguardo di Gesù, che vede l’abbondanza del raccolto. Abbiamo anche noi questo sguardo? Sappiamo riconoscere l’abbondanza dei frutti che la grazia di Dio ha fatto crescere, e del lavoro che c’è da fare nel campo del Signore? E’ da questo sguardo di fede sul campo di Dio che nasce la preghiera, l’invocazione quotidiana e pressante al Signore per le vocazioni sacerdotali e religiose. Voi, cari seminaristi, e voi, cari postulanti e novizi, siete frutto di questa preghiera del popolo di Dio, che sempre precede e accompagna la vostra risposta personale. La Chiesa in Albania ha bisogno del vostro entusiasmo e della vostra generosità. Il tempo che oggi dedicate a una solida formazione spirituale, teologica, comunitaria e pastorale, è fecondo in ordine a servire adeguatamente, domani, il popolo di Dio. La gente, più che dei maestri, cerca dei testimoni: testimoni umili della misericordia e della tenerezza di Dio; sacerdoti e religiosi conformati a Gesù Buon Pastore, capaci di comunicare a tutti la carità di Cristo.
A questo proposito, insieme con voi e insieme a tutto il popolo albanese, voglio rendere grazie a Dio per tanti missionari e missionarie, la cui azione è stata determinante per la rinascita della Chiesa in Albania e rimane ancora oggi di grande rilevanza. Essi hanno contribuito notevolmente a consolidare il patrimonio spirituale che vescovi, sacerdoti, persone consacrate e laici albanesi hanno conservato, in mezzo a durissime prove e tribolazioni. Pensiamo al grande lavoro fatto dagli Istituti religiosi per il rilancio dell’educazione cattolica: questo lavoro merita di essere riconosciuto e sostenuto.
Cari fratelli e sorelle, non scoraggiatevi di fronte alle difficoltà; sulle orme dei vostri padri, siate tenaci nel rendere testimonianza a Cristo, camminando “insieme con Dio, verso la speranza che non delude mai”. Nel vostro cammino sentitevi sempre accompagnati e sostenuti dall’affetto di tutta la Chiesa. Vi ringrazio di cuore di questo incontro e affido ciascuno di voi e le vostre comunità, i progetti e le speranze alla santa Madre di Dio. Vi benedico di cuore e vi chiedo per favore di pregare per me.