La catechesi. Francesco: «Alla radice dell'invidia c'è una falsa idea di Dio»
Il Papa tra la gente all'udienza generale del mercoledì in Aula Paolo VI
Papa Francesco continua la serie delle udienze generali del mercoledì con le catechesi dedicate a “I vizi e le virtù”. Nei giorni scorsi – sabato e lunedì - aveva annullato le udienze private per una lieve influenza. Oggi, nell’Aula Paolo VI, non ha voluto mancare all’incontro settimanale con i fedeli. All’inizio, con una voce un leggermente affaticata, confessa di essere ancora «un po’ raffreddato» e che quindi la catechesi sarà letta da monsignor Filippo Ciampanelli, officiale della Segreteria di Stato. Al termine però legge personalmente un appello per l’interdizione dell’uso delle mine antiuomo e i saluti ai presenti, con un nuovo appello per la pace in Ucraina, in Palestina e Israele, in tutto il mondo.
La catechesi odierna è dedicata a L’invidia e la vanagloria, due vizi che «sono propri di una persona che ambisce ad essere il centro del mondo, libero di sfruttare tutto e tutti, oggetto di ogni lode e di ogni amore».
Innazitutto l’invidia, «un male indagato non solo in ambito cristiano», che «ha attirato l’attenzione di filosofi e sapienti di ogni cultura». Alla sua base «c’è un rapporto di odio e amore». Infatti «si vuole il male dell’altro, ma segretamente si desidera essere come lui». L’altro è «l’epifania di ciò che vorremmo essere, e che in realtà non siamo». Così «la sua fortuna ci sembra un’ingiustizia: sicuramente – pensiamo – noi avremmo meritato molto di più i suoi successi o la sua buona sorte!». «Alla radice di questo vizio c’è una falsa idea di Dio: non si accetta che Dio abbia la sua matematica», diversa dalla nostra, spiega il Papa: «Vorremmo imporre a Dio la nostra logica egoistica, invece la logica di Dio è l’amore. I beni che Lui ci dona sono fatti per essere condivisi. Per questo San Paolo esorta i cristiani: “Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda”. Ecco il rimedio all’invidia!».
Poi la vanagloria, che «va a braccetto con il demone dell’invidia». La vanagloria «è un’autostima gonfiata e senza fondamenti». Il vanaglorioso «possiede un io ingombrante: non ha empatia e non si accorge che nel mondo esistono altre persone oltre a lui». I suoi rapporti «sono sempre strumentali, improntati alla sopraffazione dell’altro». Non solo: «La sua persona, le sue imprese, i suoi successi devono essere mostrati a tutti: è un perenne mendicante di attenzione». E «se qualche volta le sue qualità non vengono riconosciute, allora si arrabbia ferocemente». Gli altri «sono ingiusti, non capiscono, non sono all’altezza». «Per guarire il vanaglorioso, i maestri spirituali non suggeriscono molti rimedi», osserva il Papa. Perché «in fondo il male della vanità ha il suo rimedio in sé stesso: le lodi che il vanaglorioso sperava di mietere nel mondo presto gli si rivolteranno contro». E «quante persone, illuse da una falsa immagine di sé, sono poi cadute in peccati di cui presto si sarebbero vergognate!». Secondo Francesco, «l’istruzione più bella per vincere la vanagloria la possiamo trovare nella testimonianza di San Paolo», che «fece sempre i conti con un difetto che non riuscì mai a vincere». E spiega: «Per ben tre volte chiese al Signore di liberarlo da quel tormento, ma alla fine Gesù gli rispose: “Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”. Da quel giorno Paolo fu liberato». E «la sua conclusione dovrebbe diventare anche la nostra: “Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo”».
Al termine della catechesi letta da monsignor Ciampanelli, il Papa ha preso la parola, con voce un po' roca, per ricordare il 25° anniversario «dell'entrata in vigore della convenzione sull'interdizione delle mine anti persone che continuano a colpire civili innocenti in particolare bambini anche molti anni dopo la fine delle ostilità». «Esprimo vicinanza alle numerose vittime di questi subdoli ordigni che ci ricordano la drammatica crudeltà delle guerre e il prezzo che le popolazioni civili sono costrette a subire. A questo proposito - ha osservato Francesco -ringrazio tutti coloro che offrono il loro contributo per assistere le vittime e bonificare le aree contaminate . Il loro lavoro è una risposta concreta alla chiamata universale ad essere operatori di pace prendendoci cura dei nostri fratelli e sorelle».
Quindi il Pontefice ha rivolto «un cordiale benvenuto» ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluta «i fedeli provenienti dalle diocesi dell’Emilia Romagna e di San Marino-Montefeltro, accompagnati dai loro vescovi», in questi giorni a Roma per la “Visita ad limina Apostolorum”. Poi saluta «i gruppi parrocchiali di Gricignano di Aversa e di Isola di Capo Rizzuto, auspicando che la sosta presso le tombe degli Apostoli susciti un rinnovato fervore spirituale». Il pensiero del Papa va quindi «ai malati, agli anziani, agli sposi novelli e ai giovani, specialmente agli studenti dell’Istituto “Falcone e Borsellino” di Roma e ai ragazzi della Scuola “Giovanni Pascoli” di Fucecchio». Lo fa ricordando che «il cammino della Quaresima sia occasione per rientrare in sé stessi e rinnovarsi nello spirito». Infine Francesco esorta a non dimenticare «i popoli che soffrono a causa della guerra: Ucraina, Palestina, Israele e tanti altri». E a pregare «per le vittime dei recenti attacchi contro luoghi di culto in Burkina Faso; come pure per la popolazione di Haiti, dove continuano i crimini e i sequestri delle bande armate».
Prima dell’udienza del mercoledì. Papa Francesco i membri del Sinodo dei vescovi della Chiesa Patriarcale di Cilicia degli Armeni. Nel discorso preparato, e letto da monsignor Ciampanelli, il Pontefice ha rimarcato «che una delle grandi responsabilità del Sinodo è proprio quella di dare alla vostra Chiesa i vescovi di domani». E ha aggiunto: «Vi prego di sceglierli con cura, perché siano dediti al gregge, fedeli alla cura pastorale, mai arrivisti. Non vanno scelti in base alle proprie simpatie o tendenze, e bisogna stare molto attenti agli uomini che hanno “il fiuto degli affari” o a quelli che “hanno sempre la valigia in mano”, lasciando il popolo orfano». Così un vescovo «che vede la sua eparchia come luogo di passaggio verso un’altra più “prestigiosa” dimentica di essere sposato con la Chiesa e rischia – permettetemi l’espressione – di commettere un “adulterio pastorale”». E «lo stesso accade quando si perde tempo a contrattare nuove destinazioni o promozioni: i vescovi non si acquistano al mercato, è Cristo a sceglierli come Successori dei suoi Apostoli e Pastori del suo gregge».
Con i vescovi armeno-cattolici il Papa ha voluto evocare «con le parole ma soprattutto con la preghiera», l’Armenia e «in particolare tutti coloro che fuggono dal Nagorno-Karabakh, le numerose famiglie sfollate che cercano rifugio!». E ha lanciato di un nuovo un foerte appello per la pace. Nel Caucaso, per il conflitto latente tra Armenia e Azerbaigian, e in tutto il mondo. «Tante guerre, tante sofferenze. – afferma Francesco - La prima guerra mondiale doveva essere l’ultima e gli Stati si costituirono nella Società delle Nazioni, “primizia” delle Nazioni Unite, pensando che ciò bastasse a preservare il dono della pace. Eppure da allora, quanti conflitti e massacri, sempre tragici e sempre inutili. Tante volte ho supplicato: “Basta!”. Echeggiamo tutti il grido della pace, perché tocchi i cuori, anche quelli insensibili alla sofferenza dei poveri e degli umili. E soprattutto preghiamo. Lo faccio per voi e per l’Armenia; e voi, per favore, ricordatevi di me!».
Subito dopo la conclusione dell'Udienza generale il Papa, che come detto è anche alle prese con una sindrome influenzale, si è recato all'Ospedale Isola Tiberina - Gemelli Isola per alcuni accertamenti diagnostici. Al termine, informa una nota della Sala Stampa della Santa Sede, è rientrato in Vaticano.