La catechesi. Il Papa: tanti giovani morti in guerra. Mondo deformato, praticare virtù
L’essere umano è fatto per il bene. E i santi non sono campioni sovraumani, ma coloro che realizzano la vocazione propria di ogni uomo e di ogni donna. Nel giorno in cui ricorre l’undicesimo anniversario della sua elezione, papa Francesco, concluso il capitolo dei vizi, apre quello delle virtù. E nella catechesi del mercoledì di oggi, 13 marzo, che si è svolta in piazza San Pietro, ha parlato proprio della virtù, come di «un bene che nasce da una lenta maturazione della persona, fino a diventare una sua caratteristica interiore». Non senza dimenticare di lanciare un nuovo appello per la pace. «Per favore, perseveriamo nella fervida preghiera per quanti soffrono le terribili conseguenze della guerra. Oggi mi hanno portato un rosario e un Vangelo di un giovane soldato morto al fronte, lui pregava con quello. Tanti giovani, tanti giovani, vanno a morire. Preghiamo il Signore perché ci dia la grazia di vincere questa pazzia della guerra che sempre è una sconfitta».
A queste parole può ricollegarsi idealmente anche quel passaggio della catechesi in cui il Papa (che però non ha letto il discorso, scusandosi per il protrarsi del suo raffreddore e delegando la lettura a un suo collaboratore) ricorda che «in questi nostri tempi drammatici nei quali facciamo spesso i conti con il peggio dell’umano, l’agire virtuoso dovrebbe essere riscoperto e praticato da tutti». La virtù è dunque «un habitus della libertà. Se siamo liberi in ogni atto, e ogni volta siamo chiamati a scegliere tra bene e male, la virtù è ciò che ci permette di avere una consuetudine verso la scelta giusta».
In sostanza così come «il cuore dell’uomo può assecondare cattive passioni, può dare ascolto a tentazioni nocive travestite con vesti suadenti, può anche opporsi a tutto questo», esercitandosi, con l’aiuto della grazia di Dio, in quella che il Pontefice definisce «l’arte» di orientarsi al bene, «facendo sì che alcune disposizioni divengano in lui o in lei permanenti». Francesco ricorda che per i romani la virtù - virtus - evidenziava «soprattutto che la persona virtuosa è forte, coraggiosa, capace di disciplina ed ascesi; dunque l’esercizio delle virtù è frutto di una lunga germinazione, che richiede fatica e anche sofferenza». Mentre per i greci, che parlavano di aretè, la virtù «indica invece qualcosa che eccelle, qualcosa che emerge, che suscita ammirazione». C’è l’uno e l’altro dunque nella virtù. E quindi «la persona virtuosa è quella che non si snatura deformandosi ma è fedele alla propria vocazione, realizza pienamente sé stessa».
La conseguenza è che non bisogna pensare ai santi come a «delle eccezioni dell’umanità: una sorta di ristretta cerchia di campioni che vivono al di là dei limiti della nostra specie. I santi, in questa prospettiva che abbiamo appena introdotto riguardo alle virtù - sottolinea il Pontefice -, sono invece coloro che diventano pienamente sé stessi, che realizzano la vocazione propria di ogni uomo. Che mondo felice sarebbe quello in cui la giustizia, il rispetto, la benevolenza reciproca, la larghezza d’animo, la speranza fossero la normalità condivisa, e non invece una rara anomalia». Anzi, «in un mondo deformato dobbiamo fare memoria della forma con cui siamo stati plasmati, dell’immagine di Dio che in noi è impressa per sempre».
La virtù è dunque, ricorda il Papa citando il Catechismo, «una disposizione abituale e ferma a fare il bene. Non un bene improvvisato e un po’ casuale, che piove dal cielo in maniera episodica. La storia ci dice che anche i criminali, in un momento di lucidità, hanno compiuto atti buoni; certamente questi atti sono scritti nel “libro di Dio”, ma la virtù è un’altra cosa». È, come già ricordato, un bene che nasce da una lenta maturazione della persona, fino a diventare una sua caratteristica interiore. E come è possibile acquisirla?
Francesco ricorda che «per il cristiano il primo aiuto è la grazia di Dio. Infatti, in noi battezzati agisce lo Spirito Santo, che lavora nella nostra anima per condurla a una vita virtuosa. Quanti cristiani sono arrivati alla santità attraverso le lacrime, constatando di non riuscire a superare certe loro debolezze! Ma hanno sperimentato che Dio ha completato quell’opera di bene che per loro era solo un abbozzo. Sempre la grazia precede il nostro impegno morale».
In secondo luogo, prosegue il Pontefice, «non si deve mai dimenticare la ricchissima lezione che ci è arrivata dalla saggezza degli antichi, che ci dice che la virtù cresce e può essere coltivata. E perché ciò avvenga, il primo dono dello Spirito da chiedere è proprio la sapienza. L’essere umano non è libero territorio di conquista di piaceri, di emozioni, di istinti, di passioni, senza poter fare nulla contro queste forze, a volte caotiche, che lo abitano. Un dono inestimabile che possediamo è la saggezza che sa imparare dagli errori per indirizzare bene la vita. Poi ci vuole la buona volontà: la capacità di scegliere il bene, di plasmare noi stessi con l’esercizio ascetico, rifuggendo gli eccessi».
Arrivando in piazza San Pietro, Papa Francesco ha compiuto il consueto giro tra i fedeli presenti. E sulla jeep bianca è stato accompagnato da quattro bambini, due maschietti e due femminucce.