Santa Marta. Papa: testimoniare è rompere un’abitudine per far conoscere misericordia
Papa a Santa Marta
La testimonianza, la mormorazione e la domanda. Sono le tre parole su cui si sofferma Papa Francesco stamani nell’omelia della Messa a Casa Santa Marta. La riflessione si snoda a partire dal Vangelo di oggi, tratto da Luca (Lc 15,1-10), che inizia proprio dalla testimonianza che Gesù dà: gli si avvicinano pubblicani e peccatori per ascoltarlo e lui - mormorano scribi e farisei - mangia con loro. (Debora Donnini - Vatican News)
La testimonianza fa crescere la Chiesa
Prima di tutto, dunque, c’è la testimonianza di Gesù: “una cosa nuova per quel tempo”, rileva Papa Francesco, “perché andare dai peccatori ti rendeva impuro, come toccare un lebbroso”. Per questo, i dottori della legge vi si allontanavano. Francesco nota, quindi, che “la testimonianza mai nella storia è stata una cosa comoda sia per i testimoni – tante volte pagano con il martirio – sia per i potenti”.
Testimoniare è rompere un’abitudine, un modo di essere … Rompere in meglio, cambiarla. Per questo la Chiesa va avanti per testimonianze. Quello che attrae è la testimonianza, non sono le parole che sì, aiutano, ma la testimonianza è quello che attrae e fa crescere la Chiesa. E Gesù dà testimonianza. È una cosa nuova, ma non tanto nuova perché la misericordia di Dio c’era anche nell’Antico Testamento. Loro non hanno capito mai – questi dottori della legge – cosa significasse: “Misericordia voglio e non sacrifici”. Lo leggevano, ma non capivano cosa fosse la misericordia. E Gesù con il suo modi di agire, proclama questa misericordia con la testimonianza.
La testimonianza – ribadisce il Papa – “sempre rompe un’abitudine” e anche “ti mette a rischio”.
Invece di risolvere situazione conflittuale, si mormora
La testimonianza di Gesù provoca, infatti, la mormorazione. I farisei, gli scribi, i dottori della legge dicevano: “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro”. Non dicevano: “Ma guarda, quest’uomo sembra buono perché cerca di convertire i peccatori”. Un atteggiamento che consiste nel fare sempre “il commento negativo per distruggere la testimonianza”. “Questo peccato di mormorazione è quotidiano, sia nel piccolo sia nel grande”, nota ancora Francesco rilevando che nella propria vita, ci si trovi a mormorare “perché non ci piace quello e l’altro” e invece di dialogare o “cercare di risolvere una situazione conflittuale, di nascosto mormoriamo, sempre a bassa voce, perché non c’è il coraggio di parlare chiaro”. Così avviene anche “nelle piccole società”, “in parrocchia”. “Quanto si mormora nelle parrocchie? Con tante cose”, dice il Papa mettendo in evidenza che quando c’è “una testimonianza che a me non piace o una persona che non mi piace, subito si scatena la mormorazione”:
E in diocesi? Le lotte “intradiocesane” … Le lotte interne delle diocesi; voi conoscete questo. E anche nella politica. E questo è brutto. Quando un governo non è onesto cerca di sporcare gli avversari con la mormorazione. Che sia diffamazione, calunnia, cerca sempre. E voi che conoscete bene i governi dittatoriali, perché avete vissuto questo, cosa fa un governo dittatoriale? Prende in mano prima i media di comunicazione con una legge e da lì, incomincia a mormorare, a sminuire tutti coloro che per il governo sono un pericolo. La mormorazione è il nostro pane quotidiano sia a livello personale, famigliare, parrocchiale, diocesano, sociale …
La domanda di Gesù
Si tratta – evidenzia ancora il Papa – di “una scappatoia per non guardare la realtà, per non permettere che la gente pensi”. Gesù lo sa, ma è buono e “invece di condannarli per la mormorazione”, fa una domanda. “Usa lo stesso metodo che usano loro”, cioè quello di fare domande. Loro lo fanno per mettere alla prova Gesù, “con cattiva intenzione”, “per farlo cadere”: ad esempio con domande sulle tasse da pagare all’impero o sul ripudio della propria moglie. Gesù usa lo stesso metodo “ma - avverte Francesco - poi vedremo la differenza”. Gesù dice loro: “Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova?”, come ricorda il Vangelo di oggi. E “la cosa normale sarebbe che loro capissero”, invece fanno il calcolo: “ne ho 99”, se ne è persa una, “comincia il tramonto, è buio”:
“Lasciamo perdere questa e nel bilancio andrà a guadagno e perdite e salviamo queste”. Questa è la logica farisaica. Questa è la logica dei dottori della legge. “Chi di voi?”, e loro scelgono il contrario di Gesù. Per questo non vanno a parlare con i peccatori, non vanno dai pubblicani, non vanno perché: “Meglio non sporcarsi con questa gente, è un rischio. Conserviamo i nostri”. Gesù è intelligente nel fare loro la domanda: entra nella loro casistica, ma li lascia in una posizione diversa rispetto a quella giusta. “Chi di voi?”. E nessuno dice: “Sì, è vero”, ma tutti: “No, no io non lo farei”. E per questo sono incapaci di perdonare, di essere misericordiosi, di ricevere.
La logica del Vangelo contraria alla logica del mondo
Infine, il Papa ricorda ancora le tre parole su cui si è snodata la sua riflessione: “la testimonianza”, che è provocante, “che fa crescere la Chiesa”, “la mormorazione” che è “come una guardia del mio interno perché la testimonianza non mi ferisca”, e “la domanda” di Gesù. Francesco richiama anche un’altra parola: la gioia, la festa, che questa gente non conosce: “tutti coloro che seguono la strada dei dottori della legge non conoscono la gioia del Vangelo”, sottolinea il Papa che conclude dicendo: “Che il Signore ci faccia capire questa logica del Vangelo contraria alla logica del mondo”.