Papa

Santa Marta. «Pastori, non dimenticate il primo amore, Cristo»

Alessandro De Carolis, Radio Vaticana venerdì 6 giugno 2014
​Pastori, prima che studiosi, che non dimenticano mai Cristo, il loro “primo amore”, e restano sempre alla sua sequela: è questo il ritratto che Papa Francesco, all’omelia della Messa celebrata in Casa S. Marta, ha fatto di tutti gli uomini consacrati a Dio nel sacerdozio. Il servizio di Alessandro De Carolis della Radio Vaticana: “Come va il primo amore?”. Cioè, sono innamorato di te come il primo giorno? Sono felice con te o ti ignoro? Domande universali che bisogna farsi spesso, dice Papa Francesco. E non solo i coniugi all’interno di una coppia, ma anche preti, vescovi, di fronte a Gesù. Perché è Lui, afferma, che ci domanda come un giorno fece con Pietro: “Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?”. L’omelia del Papa prende avvio proprio da questo dialogo del Vangelo in cui Cristo chiede per tre volte al primo degli Apostoli se lo ami più degli altri, un modo - osserva - per portarlo "al primo amore": “Questa è la domanda che faccio a me, ai miei fratelli vescovi e ai sacerdoti: come fa l’amore di oggi, quello che fa Gesù, no? E’ come il primo? Sono innamorato come il primo giorno? O il lavoro, le preoccupazioni un po’ mi fanno guardare altre cose, e dimenticare un po’ l’amore? Ma i coniugi litigano, litigano. E quello è normale. Ma quando non c’è amore, non si litiga: si rompe". "Mai dimenticare il primo amore. Mai", ribadisce Papa Francesco, il quale mette in risalto altri tre aspetti da tenere presenti nel rapporto di dialogo di un sacerdote con Gesù. Essere prima di tutto – prima dello studio, prima del voler diventare “un intellettuale della filosofia o della teologia o della patrologia – un “pastore”, così come Gesù sollecitò Pietro: “Pasci le mie pecorelle”. Il resto, sostiene il Papa, viene “dopo”: “Pasci. Con la teologia, con la filosofia, con la patrologia, con quello che studi, ma pasci. Sii pastore. Perché il Signore ci ha chiamati per questo. E le mani del vescovo sulla nostra testa è per essere pastori. E’ una seconda domanda, no? La prima è: ‘Come va il primo amore?’. Questa, la seconda: ‘Sono pastore, o sono un impiegato di questa ong che si chiama Chiesa?’. C’è una differenza. Sono pastore? Una domanda che io devo farmi, i vescovi devono fare, anche i preti: tutti. Pasci. Pascola. Vai avanti”. E non c’è “gloria” né “maestà”, osserva Papa Francesco, per il pastore consacrato a Gesù: “No, fratello. Finirà nel modo più comune, anche più umiliante, tante volte: a letto, che ti danno da mangiare, che ti devono vestire… Ma inutile, lì, ammalato…”. Il destino è “finire – ripete – come è finito Lui”: amore che muore “come il seme del grano e così poi verrà il frutto. Ma io non lo vedrò”. Infine, il quarto aspetto, la “parola più forte”, indica Papa Francesco, con la quale Gesù conclude il suo dialogo con Pietro, “seguimi”: “Se noi abbiamo perso l’orientamento o non sappiamo come rispondere sull’amore, non sappiamo come rispondere su questo essere pastori, non sappiamo come rispondere o non abbiamo la certezza che il Signore non ci lascerà da soli anche nei momenti più brutti della vita, nella malattia, Lui dice: ‘Seguimi’. E’ questa, la nostra certezza. Sulle impronte di Gesù. Su quella strada. ‘Seguimi’”. A tutti noi sacerdoti e vescovi, termina Papa Francesco, il Signore dia “la grazia di trovare sempre o ricordare il primo amore, di essere pastori, di non avere vergogna di finire umiliati su un letto o anche persi di testa. E che sempre ci dia la grazia di andare dietro a Gesù, sulle impronte di Gesù: la grazia di seguirlo”.