Il Papa saluta il Perù. «Avete lasciato un’impronta indelebile nel mio cuore»
«Però non lo faceva stando alla scrivania… Stare vicino distribuendo i doni di Dio era un’esortazione che dava anche continuamente ai suoi presbiteri. Ma non lo faceva con le parole bensì con la sua testimonianza, stando lui stesso in prima linea nell’evangelizzazione». Parlando ai pastori a Lima, guardando l’esempio di uno dei santi che hanno costruito la Chiesa ha in Perù, papa Francesco nell’ultima sua giornata peruviana ha proposto l’identikit del vescovo: promuove l’unità della Chiesa, denuncia le ingiustizie sociali, parla linguaggi comprensibili.
«San Toribio – ha detto il Papa – difese l’ordinazione sacerdotale dei meticci e fu molto vicino ai suoi preti, ricordò ai suoi sacerdoti che erano pastori e non commercianti e perciò dovevano aver cura degli indigeni e difenderli come figli. Però non lo faceva stando alla scrivania». «Volle andare all’altra riva – ha detto ancora Bergoglio - in cerca dei lontani e dei dispersi. A tale scopo dovette lasciare le comodità del vescovado e percorrere il territorio affidatogli, in continue visite pastorali, cercando di arrivare e stare là dove c’era bisogno…Andava incontro a tutti per sentieri che, a detta del suo segretario, erano più per le capre che per le persone». Fu così che promosse con molti mezzi un’evangelizzazione nella lingua nativa», facendo tradurre catechismi in quechua e in aymara e spingendo «il clero a studiare e conoscer la lingua dei loro fedeli per poter amministrare i sacramenti in modo comprensibile. Visitando il suo popolo e vivendo con esso si rese conto che non bastava raggiungerlo solo fisicamente, ma era necessario imparare a parlare il linguaggio degli altri: solo così il Vangelo avrebbe potuto essere capito e penetrare nei cuori». «Com’è urgente – ha sottolineato il Papa - questa visione per noi, pastori del secolo XXI!». E così ha passato ventidue anni di episcopato. Il Papa non ha poi mancato di sottolineare che «la carità va sempre accompagnata dalla giustizia e non c’è autentica evangelizzazione che non annunci e denunci ogni mancanza contro la vita dei nostri fratelli, specialmente dei più vulnerabili».
Nel segno della missione si è così conclusa l’ultima giornata peruviana di Papa Francesco. Anche incontrando le monache di clausura ha ricordato loro che la preghiera contemplativa è sempre missionaria: «La preghiera missionaria è quella che ottiene di unirsi ai fratelli nelle varie circostanze in cui questi si trovano e pregare perché non manchino loro l’amore e la speranza… È saper stare accanto alla sofferenza di tanti fratelli». Così, ha aggiunto Bergoglio, «la vostra vita nella clausura riesce ad avere una portata missionaria e universale e un ruolo fondamentale nella vita della Chiesa». «Voi siete come quelle persone che portarono un paralitico davanti al Signore, perché lo guarisse. Come loro che non hanno avuto vergogna di fare un buco per far scendere il paralitico, anche voi - ha detto il Papa alle suore - «non abbiate paura di far avvicinare gli uomini al Signore, mediante la preghiera». «Che l’intercessione per i bisognosi sia la caratteristica della vostra preghiera. E quando è possibile aiutateli, non solo con la preghiera, ma anche con il servizio concreto».
E ha invitato le religiose a supplicare per l’unità: «Quanto abbiamo bisogno dell’unità nella Chiesa! E vi chiedo, per favore, di pregare molto per l’unità di questa amata Chiesa peruviana perché c'è il rischio di disunione». L’ultimo giorno del Papa in Perù è cominciato con l’incontro con cinquecento religiose di vita contemplativa nel Santuario del Señor de los Milagros e da una preghiera alle reliquie dei santi peruviani nella cattedrale di Lima, «risorsa del Paese». Poi l’incontro con i vescovi del Perù nel palazzo arcivescovile e l’Angelus nella Plaza de Armas.
Prima del ritorno a Roma l’ultimo momento pubblico è stata la messa nella base aerea “Las Palmas”, seguita da un saluto ecumenico e interreligioso e dalla cerimonia di congedo in aeroporto. Nell’omelia alla base aerea Las Palmas è ritornato infine sulla missione: «Guardando la città potremmo cominciare a constatare che ci sono vi sono cittadini che ottengono i mezzi adeguati per lo sviluppo della vita personale e familiare, però sono moltissimi i “non cittadini”, i “cittadini a metà” o gli “avanzi urbani”» che stanno ai bordi delle nostre strade, che vanno a vivere ai margini delle nostre città senza condizioni necessarie per condurre una vita dignitosa, e fa male constatare che molte volte tra questi “avanzi umani” si trovano volti di tanti bambini e adolescenti. Si trova il volto del futuro».
Augurando «che il degrado sia superato dalla fraternità, l’ingiustizia vinta dalla solidarietà e la violenza spenta con le armi della pace» perché «Gesù continua a camminare e risveglia la speranza che ci libera da rapporti vuoti e da analisi impersonali e chiama coinvolgerci come fermenti lì dove siamo, dove ci è dato di vivere, in quell’angolino di tutti i giorni.