Vaticano. Parolin marca la distanza da Pompeo. «Rispetto, ma sulla Cina si va avanti»
Un momento del colloquio tra il cardinale Parolin e il segretario di Stato Usa Mike Pompeo
Anche l’incontro di oggi lo ha cerficato. Pur tra i sorrisi e la cordialità che traspaiono dalle foto (oltre che dalle dichiarazioni ufficiali) la distanza tra l’amministrazione Trump e la Santa Sede sul rapporto con la Cina resta tutta. Il faccia a faccia in Vaticano tra i due segretari di Stato non l’ha scalfita. Quello statunitense, Mike Pompeo, che dalla tappa sulle due sponde del Tevere ha ricavato poco e niente, ha illustrato la posizione del suo governo. E il cardinale Pietro Parolin ha ribadito l’intenzione del Papa e della Santa Sede di andare avanti con l’accordo ad experimentum con Pechino almeno per altri due anni.
La conferma è giunta a più riprese nel corso della giornata, la cui mattinata Pompeo aveva voluto dedicare agli appuntamenti "religiosi". Prima a Trastevere per una visita alla Comunità di sant’Egidio, quindi, appunto, in Vaticano. Si leggano ad esempio le parole del direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni, nell’algido comunicato di fine incontro.
«Nel corso dei colloqui di questa mattina tra il segretario di Stato degli Stati Uniti d’America, Michael Richard Pompeo, e il segretario di Stato di Sua Santità, il cardinale Pietro Parolin, accompagnato dall’arcivescovo Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati, le parti hanno presentato le rispettive posizioni riguardo i rapporti con la Repubblica Popolare Cinese, in un clima di rispetto, disteso e cordiale. Si è parlato, inoltre, di alcune zone di conflitto e di crisi, particolarmente il Caucaso, il Medio Oriente e il Mediterraneo Orientale. L’incontro è durato circa 45 minuti».
Tre quarti d’ora, dunque, per sancire che ognuno andrà avanti per la sua strada.
La seconda conferma di questo status quo, del resto, veniva nel pomeriggio inoltrato quando Parolin incontrando i giornalisti a margine di un evento culturale, consegnava loro la versione autentica dell’incontro. (LEGGI QUI)
Qual è stato dunque il valore di questo colloquio, se - come ha notato lo stesso segretario di Stato Vaticano - «le posizioni rimangono distanti» e non era certo questa l’occasione per tentare di riavvicinarle? Intanto ci si è parlati (il che non è mai un male) E Pompeo ha dovuto riconoscere che almeno sul metodo con il quale la Santa Sede si approccia a questi problemi l’azione vaticana merita «comprensione».
Degna di nota appare pure l’osservazione, fatta nel pomeriggio dal cardinale segretario di Stato secondo cui «cerchiamo tutti la stessa cosa, cerchiamo tutti la libertà religiosa, una vita religiosa per la Chiesa». La distanza rimane invece «su come raggiungere questa finalità». L’accordo con il governo cinese, che con tutta probabilità sarà prorogato di altri due anni e che è frutto, ha assicurato Parolin, «di una scelta pensata, riflettuta, pregata, una scelta che ha fatto il Papa», viene ritenuto al momento ancora il metodo migliore. Checché ne pensino gli esponenti dell’amministrazione Trump, tra i quali Pompeo, che in un improvvido articolo su First Things, rivista notoriamente critica del pontificato di papa Francesco, chiedeva di non rinnovarlo altrimenti la Santa Sede «metterebbe in pericolo la sua autorità morale».
Adesso, chiusa questo maldestro tentativo americano di strumentalizzazione a fini elettorali (l’udienza papale non c’è stata, aveva ricordato Parolin, perché il Papa non riceve politici in campagna elettorale) non resta che guardare avanti. E mentre da Pechino una nota del portavoce del ministero degli Esteri per i media italiani, sostiene che l’accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi «è un risultato importante» e che «con gli sforzi congiunti di entrambe le parti le relazioni sino-vaticane hanno continuato a migliorare», da parte della Santa Sede si procederà con fiducia, ma anche con realismo. Come testimonia l’auspicio espresso da Parolin che l’accordo «funzioni ancora meglio».