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Kazakistan. Il Papa: "Solo insieme si può fare qualcosa di buono"

Stefania Falasca, inviata in Kazakistan giovedì 15 settembre 2022

«Nessuno è straniero nella Chiesa, siamo un solo Popolo santo di Dio arricchito da tanti popoli! E la forza del nostro popolo sacerdotale e santo sta proprio nel fare della diversità una ricchezza attraverso la condivisione di ciò che siamo e di ciò che abbiamo». È l’ultimo giorno della sua permanenza in Kazakistan e papa Francesco non poteva mancare all’incontro con i vescovi, i sacerdoti, i religiosi e la piccola comunità cattolica di Nur Sultan. Nell’attesa del Papa in cattedrale, bambini di una famiglia composta da 18 figli adottivi suonano gli strumenti antichi della “Terra dei Cosacchi”.

Alla Cattedrale dedicata alla Madre del Perpetuo Soccorso, una delle 70 parrocchie esistenti in tutto il Kazakistan, sede dell’Arcidiocesi di Maria Santissima in Astana, la storia ha inizio negli anni Trenta del secolo scorso, quando gli abitanti delle regioni occidentali dell’Ucraina, della Bielorussia, della regione del Volga e di altri luoghi facenti parte dell’ex Unione Sovietica, vengono deportati in Kazakhstan. La comunità cattolica formata da diversi gruppi etnici, per decenni si raduna di nascosto, in segreto, per sfuggire all’oppressione del regime sovietico, fino a quando, il 20 settembre 1979, dopo molte difficoltà, riceve il permesso ufficiale di registrarsi.

Dopo il saluto dell’Arcivescovo di Astana, Tomash Bernard Peta e l’ascolto di alcune testimonianze, riprendendo le parole di monsignor Mumbiela Sierra, che aveva sottolineato che come la maggior parte dei fedeli presenti fosse di origine stranieri «è vero – ha detto papa Francesco – perché provenite da luoghi e Paesi differenti, ma la bellezza della Chiesa è questa: siamo un’unica famiglia, nella quale nessuno è straniero. Lo ripeto: nessuno è straniero nella Chiesa, siamo un solo Popolo santo di Dio arricchito da tanti popoli! E la forza del nostro popolo sacerdotale e santo sta proprio nel fare della diversità una ricchezza attraverso la condivisione di ciò che siamo e di ciò che abbiamo: la nostra piccolezza si moltiplica se la condividiamo».

Reuters

In questo Paese di steppe, terra dei nomadi (kazaki) situato lungo l’antica via della seta che collegava al Medio Oriente e al Mediterraneo, le origini della Chiesa Cattolica risalgono al XIII secolo. Nel 1253 infatti San Luigi, Re di Francia, inviò alcuni missionari su questo territorio affinché da lì raggiungessero la Mongolia. E alla piccola comunità cattolica odierna papa Francesco parla di «memoria e futuro». Anzitutto di memoria: «Se oggi in questo vasto Paese, multiculturale e multi-religioso, possiamo vedere comunità cristiane vivaci e un senso religioso che attraversa la vita della popolazione – ha detto – è soprattutto grazie alla ricca storia che vi ha preceduto». C’è dunque un’eredità cristiana, ecumenica, che per il Papa va onorata e custodita, una trasmissione della fede «che ha visto protagoniste anche tante persone semplici, tanti nonni e nonne, padri e madri. Nel cammino spirituale ed ecclesiale non dobbiamo smarrire il ricordo di quanti ci hanno annunciato la fede, perché fare memoria ci aiuta a sviluppare lo spirito di contemplazione per le meraviglie che Dio ha operato nella storia, pur in mezzo alle fatiche della vita e alle fragilità personali e comunitarie».

E poi ha spiegato che facendo memoria s’impara che la fede nasce con la testimonianza, che la fede si trasmette con la vita e che questa è una chiamata «per tutti, a tutti, fedeli laici, vescovi, sacerdoti, diaconi, consacrati e consacrate che operano in vario modo nella vita pastorale delle comunità». Perché «la fede non è una bella mostra di cose del passato, ma un evento sempre attuale, l’incontro con Cristo che accade qui e ora nella vita! Perciò non si comunica solo con la ripetizione delle cose di sempre, ma trasmettendo la novità del Vangelo. Così la fede rimane viva e ha futuro… siamo chiamati ad accogliere oggi il rinnovamento che il Risorto porta avanti nella vita. Nonostante le nostre debolezze, Egli non si stanca di stare con noi, di costruire l’avvenire della sua e nostra Chiesa insieme a noi».

Al termine ha ricordato il beato Bukowiński, un sacerdote che spese l’esistenza per curare gli ammalati, i bisognosi e gli emarginati, pagando sulla propria pelle la fedeltà al Vangelo con la prigione e i lavori forzati. «Mi hanno detto – ha ripreso il Papa – che ancora prima della beatificazione, sulla sua tomba c’erano sempre fiori freschi e una candela accesa. È la conferma che il Popolo di Dio sa riconoscere dove c’è la santità, dove c’è un pastore innamorato del Vangelo. Vorrei dirlo in particolare ai Vescovi e ai sacerdoti, questa è la nostra missione: non essere amministratori del sacro o gendarmi preoccupati di far rispettare le norme religiose, ma pastori vicini alla gente, icone vive del cuore compassionevole di Cristo». Prima di salutare individualmente i sei vescovi e la foto di gruppo, papa Francesco ha benedetto una venerata e singolare icona dedicata a Maria Madre della Grande Steppa.

Falasca