Udienza. Il Papa: la missione è l'ossigeno della vita cristiana
"Quando la vita cristiana perde di vista l’orizzonte dell’annuncio, si ammala: si chiude in sé stessa, diventa autoreferenziale, si atrofizza. Senza zelo apostolico, la fede appassisce": soffermandosi su queste parole papa Francesco ha aperto un nuovo ciclo di catechesi che pone al centro la passione per l'evangelizzazione, lo zelo apostolico.
Nel corso dell'udienza generale, in Aula Paolo VI, dove era arrivato sostenendosi con un bastone il Papa ha definito lo zelo apostolico come "una dimensione vitale per la Chiesa: la comunità dei discepoli di Gesù nasce infatti apostolica, missionaria. Non proselitista, e questo dall'inizio dobbiamo distinguere: essere missionari, essere apostolici, non significa fare proselitismo, sono due dimensioni che non c'entrano nulla l'una con l'altra".
Secondo il Pontefice, "lo Spirito Santo la plasma in uscita, perché non sia ripiegata su sé stessa, ma estroversa, testimone contagiosa di Gesù, protesa a irradiare la sua luce fino agli estremi confini della terra".
"Può succedere, però, che l'ardore apostolico, il desiderio di raggiungere gli altri con il buon annuncio del Vangelo, diminuisca, divenga tiepido - ha avvertito Francesco -. A volte sembra eclissarsi. Sono cristiani chiusi, che non pensano agli altri. Ma quando la vita cristiana perde di vista l'orizzonte dell'annuncio, si ammala: si chiude in sé stessa, diventa autoreferenziale, si atrofizza".
E ancora: "Senza zelo apostolico, la fede appassisce. La missione è invece l'ossigeno della vita cristiana: la tonifica e la purifica", ha aggiunto il Papa.
Al centro della catechesi l'episodio evangelico, "in qualche modo emblematico" della chiamata dell'apostolo Matteo, un "pubblicano", un esattore delle tasse e quindi considerato "un collaborazionista, un traditore del popolo". "State attenti a questo: Gesù non si ferma negli aggettivi, sempre cerca il sostantivo. Gesù va alla persona, al cuore: questo è un uomo, questa è una donna. Gesù va alla sostanza, al sostantivo, mai all’aggettivo. Lascia passare gli aggettivi" ha aggiunto, a braccio, il Papa. "In pochi vedevano Matteo così com’era", ha fatto notare Francesco: "Lo conoscevano come colui che stava seduto al banco delle imposte. Era infatti esattore delle tasse: uno, cioè, che riscuoteva i tributi per conto dell’impero romano che occupava la Palestina. In altre parole, era un collaborazionista, un traditore del popolo. Possiamo immaginare il disprezzo che la gente provava per lui: era un pubblicano". "Ma, agli occhi di Gesù, Matteo è un uomo, con le sue miserie e la sua grandezza", ha osservato il Papa: "E mentre tra Matteo e la sua gente c’è distanza, Gesù si avvicina a lui, perché ogni uomo è amato da Dio. ‘Anche questo disgraziato?’. ‘Sì, anche questo disgraziato. Anzi, lui è venuto per questo disgraziato’. Lo dice il Vangelo: ‘Io sono venuto per i peccatori, non per i giusti’". "Questo sguardo, che vede l’altro, chiunque sia, come destinatario di amore, è l’inizio della passione evangelizzatrice", la tesi di Francesco: "Tutto parte da questo sguardo, che impariamo da Gesù". "Possiamo chiederci: com’è il nostro sguardo verso gli altri?", l’esortazione del Papa: "Quante volte ne vediamo i difetti e non le necessità; quante volte etichettiamo le persone per ciò che fanno o pensano! Anche come cristiani ci diciamo: è dei nostri o non è dei nostri? Questo non è lo sguardo di Gesù: Lui guarda sempre ciascuno con misericordia, anzi con predilezione. E i cristiani sono chiamati a fare come Cristo, guardando come Lui specialmente i cosiddetti lontani. Infatti, il racconto della chiamata di Matteo si conclude con Gesù che dice: ‘Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori’". "E se ognuno di noi si sente giusto, così non va", ha aggiunto a braccio: "Lui si avvicina ai nostri limiti, alle nostre miserie".
"Possiamo chiederci: com’è il nostro sguardo verso gli altri?", l’esortazione del Papa nella catechesi. "Quante volte etichettiamo le persone per ciò che fanno o pensano! Anche come cristiani ci diciamo: è dei nostri o non è dei nostri? Questo non è lo sguardo di Gesù: Lui guarda sempre ciascuno con misericordia, anzi con predilezione. E i cristiani sono chiamati a fare come Cristo, guardando come Lui specialmente i cosiddetti lontani". - Reuters
"Ecco il messaggio per noi: non dobbiamo attendere di essere perfetti e di aver fatto un lungo cammino dietro a Gesù per testimoniarlo; il nostro annuncio comincia oggi, lì dove viviamo", ha osservato. Un invito ribadito da Francesco anche nei saluti ai pellegrini di lingua araba e portoghese.
"Come ci ha insegnato Papa Benedetto, la Chiesa non fa proselitismo. Essa si sviluppa piuttosto per attrazione" ha rimarcato ancora il Papa in uno dei passaggi centrali della sua catechesi, riprendendo le parole di Benedetto XVI durante l'omelia nella Messa inaugurale della V Conferenza Generale dell'Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, Aparecida, 13 maggio 2007. Il Pontefice ha esortato a testimoniare l'annuncio "non cercando di convincere gli altri, ma testimoniando ogni giorno la bellezza dell'Amore che ci ha guardati e ci ha rialzati. E se ha questa bellezza - ha proseguito a braccio - è comunicare questa bellezza a convincere la gente non noi. Noi siamo quelli che annunciano il Signore, non siamo un partito politico, una ideologia".
"Non dimenticare questo - ha aggiunto sempre a braccio -: quando voi vedete dei cristiani che fanno proselitismo, che ti fanno una lista di gente" per convincerti a seguirli, "questi non sono cristiani, ma pagani travestiti da cristiani, con cuore pagano. La Chiesa non cresce per proselitismo ma per attrazione".
Al termine dei saluti ai pellegrini di lingue diverse non è mancato l'ennesimo appello a pregare l'Ucraina: "Non dimentichiamo la martoriata Ucraina, sempre nel nostro cuore; a questo popolo che sta sperimentando crudeli sofferenze esprimiamo il nostro affetto, la nostra vicinanza e la nostra preghiera".