Giacarta. Il Papa: «Aiutare i poveri non è comunismo, è carità»
Il Papa con i vescovi indonesiani nella Cattedrale di Giacarta
Il Papa alza lo sguardo e abbraccia lo spazio della Cattedrale di Nostra Signora dell'Assunzione. Gli avranno detto, probabilmente, che fu un suo confratello architetto gesuita a progettarla, nel 1891. E che un altro gesuita, all'epoca vicario apostolico di Giacarta, la consacrò nel 1901. Il soffitto in legno di teak, le pareti bianche orlate di grigio, un primo ordine di archi a tutto sesto e un secondo a sesto acuto. Slanciate colonne e belle bifore. Tanti elementi diversi. Ma in unità architettonica. Francesco prende spunto forse anche da questo per dire, all’inizio del suo discorso, «ci sono cardinali e vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e catechisti. Ognuno ha il suo compito, ma tutti siamo fratelli». E poco dopo cita la poetessa polacca Wislawaa Szymborska per dire che «essere fratelli vuol dire amarsi riconoscendosi “diversi come due gocce d’acqua”. Ed è proprio così - spiega -. Non ci sono due gocce d’acqua uguali l’una all’altra, né ci sono due fratelli, nemmeno gemelli, completamente identici. Vivere la fraternità, allora, vuol dire accogliersi a vicenda riconoscendosi uguali nella diversità».
Francesco ritorna così sul tema principale di questa tappa del viaggio e qui la declina in senso ecclesiale, come in mattinata lo aveva fatto in senso politico di fronte al corpo diplomatico. Nella Cattedrale ci sono i vescovi. I sacerdoti, tantissime suore, i seminaristi e i catechisti. Più di 500 persone e moltissime sono di fuori, per strada. Poco distante attendono i membri di Scholas Occurrentes, che il Pontefice andrà a trovare subito dopo.
All’interno del duomo alcuni presentano le loro testimonianze. Il Papa scherza e improvvisa. A una religiosa, dopo il suo breve discorso, dice: «Questa sa comandare». Quindi loda i catechisti. «La chiesa la portano avanti loro - dice -. Poi vengono le suorine, i sacerdoti e i vescovi. Ma i catechisti sono la forza della Chiesa. Un presidente in Africa mi ha detto che era stato battezzato dal suo papà catechista. La fede si trasmette a casa, in dialetto. Ringrazio tanto i catechisti», capaci anche di costruire «ponti tra i cuori» nel grande arcipelago della vita. Infine, rispondendo a un paragone tra lui e San Francesco, fatto da un’altra suora, scherza: «Io come San Francesco? È coraggioso dirlo. Ma forse sono come il lupo?».
Un bambino innalza uno striscione di benvenuto per il Papa - Reuters
Il Papa legge poi il suo discorso con frequenti aggiunte a braccio. Mette in guardia dal diavolo, che divide ed entra dal portafoglio. E si sofferma sulle tre parole che compongono il motto della visita. Fede, fraternità e compassione. Se per spiegare il primo vocabolo sceglie di ricordare che tutto , dalla natura a ogni istante di vita, è dono di Dio, per illustrare la compassione, «che non è debolezza, ma amore», sottolinea: «Non consiste nel dispensare elemosine a fratelli e sorelle bisognosi guardandoli dall'alto in basso, dalla 'torre' delle proprie sicurezze e dei propri privilegi, ma al contrario nel farci vicini gli uni agli altri». Compassione «vuol dire anche abbracciarne i sogni e desideri di riscatto e di giustizia, prendersene cura. E questo non vuol dire essere 'comunista': vuol dire carità».
Allo stesso modo annunciare il Vangelo «non vuol dire imporre o contrapporre la propria fede a quella degli altri, ma donare e condividere la gioia dell'incontro con Cristo, ma senza proselitismo. Vi invito a mantenervi sempre così: aperti e amici di tutti, con un'espressione che mi piace tanto 'mano nella mano' - profeti di comunione, in un mondo dove sembra invece stia crescendo sempre più la tendenza a dividersi, imporsi e provocarsi a vicenda». No ai calcoli di interesse «che finiscono in genere col distruggere il creato e dividere le comunità».
Il Papa con i giovani di Scholas Occurrentes - Reuters
Molto caloroso anche il successivo incontro con i giovani di Scholas Occurrentes, nella Casa della Gioventù attigua alla Cattedrale. Il Papa dialoga con loro, ascolta la testimonianza commossa di una musulmana e ricorda i «principi per fare la convivenza e pace». La realtà «è superiore all'idea. Se vai per le idee farai un conflitto; l'unità è superiore al conflitto. Tutto è superiore alla parte. Con questi principi - afferma Francesco - farai sempre la pace con tutti». Invece "la voglia di avere tutto in mano è quello che fa la guerra", perché "non c'è la capacità di ascoltare, cambiare idea e camminare insieme". Alla fine, prima di impartire la benedizione, spiega: «Qui ci sono persone di diverse fedi, ma Dio è unico. Darò la mia benedizione per tutti».
In mattinata, Francesco aveva incontrato in nunziatura 200 gesuiti, rallegrandosi perché molti erano giovani. Come riferito da padre Antonio Spadaro a Vatican Media, tra i temi affrontati nel colloquio «familiare, rilassato e acuto» anche il dialogo interreligioso e l’importanza dell’inculturazione.
Questa sera, al termine degli incontri del pomeriggio, Papa Francesco si è fermato a più riprese prima di rientrare, dopo circa un’ora, in Nunziatura, e ha salutato i molti indonesiani, particolarmente i bambini, radunati lungo il percorso.