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Lituania. Il Papa e la memoria del Ghetto: attenti ai germi dell'odio

Gianni Cardinale, inviato nei Paesi Baltici domenica 23 settembre 2018

Ansa

Il 23 settembre 1943 venne distrutto il Ghetto di Vilnius. Settantacinque anni dopo Papa Francesco si trova in visita nella capitale lituana e fa memoria di quel momento tragico per il popolo israelitico, proclamato Giorno del genocidio ebraico dallo Stato. Lo fa nell’Angelus pronunciato a Kaunas esortando a “scoprire in tempo qualsiasi germe di quell’atteggiamento pernicioso” che è l’antisemitismo. E lo fa a Vilnius sostando in silenzioso e intenso raccoglimento davanti al Monumento per le vittime del ghetto.

E’ questo uno dei momenti più commoventi del secondo giorno del viaggio apostolico nei Paesi Baltici. Così come la visita al Museo delle occupazioni e lotte per la libertà, cupa testimonianza delle persecuzioni subite dalla società e dalla Chiesa cattolica durante l’occupazione nazista e il dominio sovietico. Il successore di Pietro ha visitato alcune celle dell’edificio e ha acceso una candela in memoria delle tante vittime della Gestapo (dal ’41 al ’44) e del Kgb (più di mille gli uccisi, dal ‘44 fino agli anni Sessanta).

Con lui anche una vittima di quelle stanze, l’arcivescovo Sigitas Tamkevicius, gesuita, arcivescovo emerito di Kaunas. Papa Francesco anche qui non ha fatto discorsi e ha ascoltato in silenzio le spiegazioni dell’arcivescovo di Vilnius Gintaras Grausas. Poi davanti al Monumento per le vittime delle occupazioni ha recitato una preghiera scritta appositamente. Anche qui, come al ghetto, c’è la presidente Dalia Grybauskaite. Tantissimi i lituani che hanno voluto essere presenti a questo evento dal forte significato simbolico. Nell’orazione il Pontefice ha ricordato quei “lituani e provenienti da diverse nazioni” che “hanno sofferto nella loro carne il delirio di onnipotenza di quelli che pretendevano di controllare tutto”.

E ha invocato il Signore affinché la Lituania sia “faro di speranza”, sia “terra della memoria operosa che rinnova gli impegni contro ogni ingiustizia”, promuova “creativi sforzi nella difesa dei diritti di tutte le persone, specialmente dei più indifesi e vulnerabili” e sia “maestra nel riconciliare e armonizzare le diversità”.

“Signore – ha concluso prima della benedizione – non permettere che siamo sordi al grido di tutti quelli che oggi continuano ad alzare la voce al Cielo”.

La seconda giornata del Papa in Lituania è iniziata con il trasferimento a Kaunas, sede della seconda arcidiocesi e antica capitale del Paese, dove ha presieduto la messa domenicale nel parco Santakos davanti a più di centomila fedeli, in prima fila anche la presidente Grybauskaite. Nell’omelia ha evocato “l’occupazione”, “l’angoscia” dei “deportati”, la “delazione”, il “tradimento”, vissuti durante il dominio sovietico.

E ha invitato a fuggire “il desiderio di potere e di gloria” tipico di coloro “che non riescono a guarire la memoria della loro storia” e quindi non accettano “di impegnarsi nel presente”, mettendosi a discutere su chi ha “brillato di più” o “è stato più puro nel passato”.

Il Pontefice ha esortato a evitare questo “atteggiamento sterile e vano” e ha proposto come “antidoto” lo stare vicino, lo “stare in mezzo” alle minoranze etniche, ai disoccupati costretti ad emigrare, agli anziani, ai “giovani che non trovano senso alla vita perché hanno perso le loro radici”.

Ha invocato insomma una Chiesa “in uscita” che si spende per “i più piccoli, i dimenticati, quelli che vivono nelle periferie esistenziali”. Dopo la messa, la recita dell’Angelus. E qui che Papa Francesco ha ricordato che 75 anni fa la Lituania “assisteva alla definitiva distruzione del Ghetto di Vilnius”, momento culminante dell’”annientamento di migliaia di ebrei che era già iniziato due anni prima”.

“Facciamo memoria di quei tempi, - ha rimarcato il Pontefice - e chiediamo al Signore che ci faccia dono del discernimento per scoprire in tempo qualsiasi nuovo germe di quell’atteggiamento pernicioso, di qualsiasi aria che atrofizza il cuore delle generazioni che non l’hanno sperimentato e che potrebbero correre dietro quei canti di sirena”.

Finita la messa, il Pontefice ha pranzato con i vescovi e quindi ha incontrato i sacerdoti, le religiose e i seminaristi. Nella cattedrale di Kaunas, tra molti applausi, ha parlato più volte a braccio, fornendo anche indicazioni concrete ai chierici e alle suore presenti. Li ha esortati a fare memoria dei martiri che li hanno preceduti (“non dimenticatevi dei vostri antenati”) e a fuggire “lo spirito della secolarizzazione, della noia” che è la tentazione della “seconda generazione”. Rivolgendosi ai preti giovani li ha invitati a “prendere un’altra strada” piuttosto che “vivere nella mediocrità”. E ha ricordato che “la tristezza spirituale è una malattia” seminata “dal diavolo” che nasce quando non si è più “innamorati del Signore”. In questi casi, ha aggiunto, è bene fermarsi e “chiedere consiglio” ad “un prete saggio o una suora saggia” esperti nell’”andare avanti nell’amore”. Altrimenti questa “tristezza non guarita in tempo”, ha spiegato con un sorriso, “farà di voi dei ‘zitelloni’ e delle ‘zitellone’”. Papa Francesco ha poi aggiunto che alla tristezza spirituale va collegata quella di “confondere la vocazione con un’impresa, con una ditta di lavoro”.

La “vita di seguire Gesù”, ha rimarcato, “non è la vita di funzionario e funzionaria”. E a questo proposito ha raccomandato di coltivare una doppia “vicinanza”, al Tabernacolo (“a tu per tu con il Signore”) e “alla gente” perché il Signore “vuole pastori e pastore di popolo, e non chierici di Stato”.

Infine il Pontefice ha raccomandato ai sacerdoti di manifestare la propria vicinanza al popolo soprattutto essendo “misericordiosi” e “soprattutto nel confessionale”. E alle suorine ha chiesto di essere “madri”, ricordando che la “mamma Chiesa” non è non è “zitellona” e “non chiacchiera”, mentre invece “ama, serve, fa crescere”. “Se farete così – ha concluso – da vecchi avrete un sorriso bellissimo e degli occhi brillanti! Perché avrete l’anima piena di tenerezza, di mitezza, di misericordia, di amore, di paternità e maternità”.