La strage di Dacca. Incontro del Papa con i familiari: la strada dell'amore semina pace
L'incontro con i familiari delle vittime della strage di Dacca (Foto da Radio Vaticana)
"La strada dall’amore all’odio è facile. Quella dall’odio all’amore è più difficile, ma semina pace ed è ciò che state facendo. Grazie per quello che mi insegnate". Sono le parole, semplici e "bellissime", che papa Francesco ha rivolto ai familiari delle nove persone barbaramente uccise nell’attentato terroristico di Dacca, in Bangladesh, lo scorso luglio, ricevuti in udienza privata questa mattina, mercoledì 22 febbraio. L’emozione è grande, di quelle che difficilmente si contengono. Sui volti però prevale la serenità, la positività, la forza di chi non si è arreso al male e che oggi, nel quotidiano, continua a lavorare per la pace, percorrendo proprio la via dell’amore.
«Per noi è stata una carezza, oltre che un incoraggiamento», confida Maria Gaudio, la moglie di Vincenzo D’Allestro. "Aspettavamo da tempo di poter incontrare il Papa, volevamo dirgli chi erano i nostri cari e fargli sapere che da questa tragedia abbiamo tirato fuori tanta forza e tanti messaggi d’amore", racconta la signora. "La prima reazione – osserva – non è stato uno scatenarsi di odio, ma una grande forza. Vincenzo era una persona solare, buona e altruista. E penso che continui a vivere attraverso le opere dell’associazione 'In viaggio con Vincenzo' che ho fondato subito dopo la sua morte, per dare un contributo, per dire che con un piccolo gesto ognuno può fare qualcosa".
"Da un immenso dolore, sono scaturite tante cose belle. Tra le famiglie delle vittime è nata una solidarietà profonda e tutti sono impegnati in iniziative di beneficenza, specialmente a favore del Bangladesh", conferma monsignor Valentino Di Cerbo, vescovo di Alife-Caiazzo, che ha sostenuto la richiesta della signora Gaudio e ha accompagnato l’intero gruppo formato da una trentina di persone, tra cui alcuni bambini che hanno donato al Pontefice un disegno con un grande cuore. "L’incontro – spiega – è stato molto commovente ed è durato venti minuti. Dopo il suo breve discorso a braccio, il Papa, che è stato molto disponibile, ha salutato tutti, intrattenendosi qualche istante con ciascuno".
"Papa Francesco ci ha ringraziato per la testimonianza che diamo e ha pregato secondo le nostre intenzioni. Dire che il suo è stato un messaggio di speranza sarebbe scontato, è piuttosto una conferma che stiamo andando nella direzione giusta", aggiunge don Luca Monti, parroco di Santa Lucia di Serino, in provincia di Avellino, e fratello di Simona, giustiziata assieme al bimbo di cinque mesi che portava in grembo. "La forza della fede e il coraggio umano di mia sorella sono il testamento che ci ha lasciato:
da esso attingiamo l’entusiasmo e la fiducia per proseguire in questo cammino di solidarietà", dice il giovane sacerdote, in partenza per Harintana, piccola città del Bangladesh meridionale nella diocesi di Khulna, dove venerdì sarà inaugurata la chiesa costruita da Aiuto alla Chiesa che soffre anche grazie alle offerte raccolte dopo i funerali di Simona. "Dal sangue versato da queste persone, a cui forse dovremmo cominciare a pensare come martiri dal momento che sono stati uccisi perché non conoscevano il Corano,
vogliamo che sgorghi la pace", sottolinea papà Luciano, visibilmente emozionato. Non a caso, conclude, "abbiamo regalato al Papa nove bonsai di ulivo, su ognuno dei quali è riportato il nome delle nove vittime".
Germogli di pace, piantati lungo una strada di riconciliazione che vuole unire l’Italia, il Bangladesh e il mondo intero.
La nuova chiesa
«In Bangladesh noi cristiani siamo molto pochi», ha spiegato il vescovo di Khulna, James Romen Boiragi. E in una nazione con una minoranza cristiana dello 0.5% della popolazione un luogo di culto è particolarmente rilevante. «È molto importante testimoniare la cristianità. I fedeli vengono con fiducia per celebrare le festività ma anche per socializzare. Viviamo in un Paese in via di sviluppo e la nostra gente è molto povera. Molte persone che si sono convertite provengono dai Rishi, gli “intoccabili”, e dalla casta inferiore della comunità indù. Molte famiglie hanno a disposizione un solo pasto quotidiano. Non possono pagare tasse scolastiche per i figli. I nostri missionari giocano un ruolo molto importante nella loro crescita spirituale, economica e sociale».
Secondo Alessandro Monteduro, direttore di Acs-Italia, «rafforzare con i fatti le minoranze perseguitate rappresenta uno degli antidoti più potenti contro gli estremismi, in Bangladesh, in Medio Oriente, in Pakistan, nelle nazioni dell’Africa continentale e altrove, senza dimenticare la nostra Europa. Assieme alla famiglia Monti e a tanti altri benefattori italiani abbiamo risposto con l’arma della speranza alla feroce violenza del terrorismo».