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Il viaggio. Il Papa in Mongolia: sul mondo regni l'assenza di conflitti

Stefania Falasca, inviata a Ulan Bator (Mongolia) sabato 2 settembre 2023

Papa Francesco con il presidente della Mongolia

«Voglia il Cielo che sulla terra, devastata da troppi conflitti, si ricreino anche oggi, nel rispetto delle leggi internazionali, le condizioni di quella che un tempo fu la pax mongolica, ossia l’assenza di conflitti». Sono le parole che papa Francesco ha rivolto al mondo dal Palazzo di Stato della Mongolia, che fu un tempo l’impero più grande della storia e di cui oggi non ne ignora il contesto geografico e la posizione strategica stretto tra la Russia e la Cina.

Rivolgendosi alle autorità civili e al corpo diplomatico nella sala di Ikh Mongol nel suo primo incontro e discorso pubblico nella capitale Ulan Bator, il Papa ha affermato che «la Mongolia di oggi, infatti, con la sua ampia rete di relazioni diplomatiche, la sua attiva adesione alle Nazioni Unite, il suo impegno per i diritti umani e per la pace, riveste un ruolo significativo nel cuore del grande continente asiatico e nello scenario internazionale».

Ed ha sottolineato non solo come la pena capitale sia stata abolita dal suo ordinamento giudiziale, ma anche la «determinazione a fermare la proliferazione nucleare e a presentarsi al mondo come Paese senza armi nucleari». «La Mongolia – ha affermato papa Francesco – non è solo una nazione democratica che attua una politica estera pacifica, ma si propone di svolgere un ruolo importante per la pace mondiale». Il viaggio in questa nazione asiatica si profila pertanto come esplicita intenzione per il Papa di rilanciare da Oriente un nuovo appello per la pace all’Occidente. Anche per la deterrenza alle armi nucleari e alla cura dell’ambiente.

Sullo sfondo di una gigantesca statua di Gengis Khan, davanti al palazzo Presidenziale nella piazza di Sükhbaatar dove s’affacciano grigi edifici di architettura socialista, papa Francesco ha ricevuto alle nove del mattino il benvenuto dal presidente della Mongolia Ukhnaagiin Khürelsükh. Insieme, dopo gli onori alla statua, si sono ritirati all’interno del Palazzo per un incontro privato nella Gran Ger, la stanza circolare sul modello delle tipiche tende-abitazioni dei popoli nomadi. Poi ha ricordato le relazioni diplomatiche tra Mongolia e Santa Sede e il 30° anniversario quest’anno della firma per rafforzare i rapporti bilaterali, come pure le radici storiche dei reciproci rapporti, a cominciare dallo scambio di lettere tra il terzo imperatore mongolo e Papa Innocenzo IV che sette secoli fa inviò nella capitale fondata da Gengis Khan un religioso francescano in missione di pace.

Una copia autenticata il Pontefice l’ha donata al presidente. Per il Papa è da rilevare la capacità mostrata dagli antenati in Mongolia di «riconoscere le eccellenze dei popoli che componevano l’immenso territorio imperiale e di porle al servizio dello sviluppo comune». È questa la “pax mongolica” che, secondo Francesco, è necessaria oggi.

E se la Mongolia è un Paese che nella sua storia ha saputo promuovere la pace e l’armonia tra popolazioni di diverse origini, si tratta di valori condivisi che Francesco intende nuovamente promuovere nel corso di questo viaggio in questo Paese a maggioranza buddista, come aveva fatto già lo scorso anno con il Kazakistan a maggioranza islamica. Il Papa ha quindi ricordato la «profonda connotazione spirituale» che caratterizza l’identità di questo «maestoso Paese». La fase dell’ideologia atea è stata superata e oggi il popolo si riconosce nel «valore essenziale dell’armonia e della sinergia tra credenti di fedi diverse», che contribuiscono «al progresso morale e spirituale dei popoli».

Proprio per questo chiede alle religioni di operare insieme per contrastare i pericoli dello «spirito consumistico che oggi, oltre a creare tante ingiustizie, porta a un individualismo dimentico degli altri». «Le religioni – ha affermato il Papa anticipando le prerogative dell’incontro interreligioso di domani – quando si rifanno al loro originale patrimonio spirituale e non sono corrotte da devianze settarie, sono a tutti gli effetti sostegni affidabili nella costruzione di società sane e prospere, dove i credenti si spendono affinché la convivenza civile e la progettualità politica siano sempre più al servizio del bene comune, rappresentando anche un argine al pericoloso tarlo della corruzione», che costituisce una minaccia allo sviluppo.

Ritiene pertanto positivo che la «piccola e discreta» comunità cattolica partecipi «con impegno al cammino di crescita del Paese, diffondendo la cultura della solidarietà, del rispetto per tutti e del dialogo interreligioso, e spendendosi per la giustizia, la pace e l’armonia sociale», auspicando che, «grazie a una legislazione lungimirante e attenta alle esigenze concrete, i cattolici locali, possano sempre offrire senza difficoltà alla Mongolia il loro contributo umano e spirituale, a vantaggio di questo popolo».

Il riferimento è al negoziato in corso per un accordo bilaterale tra Mongolia e Santa Sede e augura che questo «rappresenti un canale importante per il raggiungimento di quelle condizioni essenziali per lo svolgimento delle ordinarie attività in cui la Chiesa cattolica è impegnata».

Non ultimo, in questo primo discorso ai rappresentanti delle istituzioni dal suo arrivo a Ulan Bator, nel giorno dedicato alla custodia del creato, anche il rinnovato appello ad un «impegno urgente e non più rimandabile per la tutela del pianeta Terra». Guardando gli spazi immensi delle regioni mongole che si estendono dal deserto del Gobi alla steppa, dalle grandi praterie alle foreste di conifere fino alle catene montuose degli Altai e dei Khangai, Francesco ha ricordato che tutto questo «è uno specchio della grandezza e della bellezza dell’intero pianeta, chiamato a essere un giardino ospitale».

C’è da imparare – ha sottolineato – dalla sapienza dalle generazioni passate «sempre attente a non rompere i delicati equilibri dell’ecosistema», una sapienza che «ha molto da insegnare a chi oggi non vuole chiudersi nella ricerca di un miope interesse particolare, ma desidera consegnare ai posteri una terra ancora accogliente e feconda». «Quello che per noi cristiani è il creato, cioè il frutto di un benevolo disegno di Dio – ha affermato Francesco – voi ci aiutate a riconoscere e a promuovere con delicatezza e attenzione, contrastando gli effetti della devastazione umana con una cultura della cura e della previdenza, che si riflette in politiche di ecologia responsabile».