Papa

Congo. L'accusa del Papa: «Massacri, violenze e stupri per l'avidità di denaro»

Stefania Falasca, inviata a Kinshasa (Repubblica Democratica del Congo) mercoledì 1 febbraio 2023

Le hanno tagliato le mani. La tenerezza di Cristo nella carezza del vescovo di Roma

Un machete deposto sotto il crocifisso appeso nel salone bianco della nunziatura apostolica. Lo ha poggiato a terra davanti a papa Francesco Ladislas Kambale Kombi, che con un machete ha visto squartare e fare a pezzi suo padre da gruppi armati nell’Est del Paese.

«Di notte non riesco a dormire. È difficile comprendere una tale malvagità, questa brutalità animale». Bijoux Mukumbi Kamala, in piedi, chiusa dentro a un foulard colorato non parla, lascia leggere il racconto della violenza inenarrabile a cui è sopravvissuta a una sua compagna.

E poi ancora altri e altri. Sono testimonianze crude di orrori, storie di raccapricciante brutalità animalesca, che il Papa ha ascoltato nella sala della rappresentanza pontificia a Kinshasa. Provengono tutte dalle provincie del nord e sud Kivu nell’est del Congo, sono le vittime delle violenze e dei massacri dei gruppi armati per l’accaparramento delle terre dal 2005 a oggi.

Francesco ha ascoltato in silenzio. Poi ha parlato: «Davanti alla violenza disumana che avete visto con i vostri occhi e provato sulla vostra pelle si resta scioccati. Non ci sono parole; c’è solo da piangere». E in nome di Dio con forza ha condanno le violenze armate, i massacri, gli stupri, la distruzione e l’occupazione di villaggi e i saccheggi che continuano a essere perpetrati nella Repubblica Democratica del Congo e «il sanguinoso, illegale sfruttamento della ricchezza di questo Paese – ha affermato – così come i tentativi di frammentarlo per poterlo gestire».

«Riempie di sdegno – ha detto il Papa – sapere che l’insicurezza, la violenza e la guerra che tragicamente colpiscono tanta gente sono vergognosamente alimentate non solo da forze esterne, ma anche dall’interno, per trarne interessi e vantaggi».

Ha chiesto poi a Dio di convertire i cuori di compie «crudeli atrocità che gettano infamia sull’umanità intera!». E di aprire gli occhi «a coloro che li chiudono o si girano dall’altra parte davanti a questi abomini».

L’analisi del Papa è chiara: si tratta di conflitti che costringono milioni di persone a lasciare le proprie case, provocano gravissime violazioni dei diritti umani, disintegrano il tessuto socio-economico, causano ferite difficili da rimarginare. Sono lotte di parte in cui si intrecciano dinamiche etniche, territoriali e di gruppo; conflitti che hanno a che fare con la proprietà terriera, con l’assenza o la debolezza delle istituzioni, odi in cui si infiltra la blasfemia della violenza in nome di un falso Dio.

«Ma soprattutto – afferma papa Francesco – è la guerra scatenata da un’insaziabile avidità di materie prime e di denaro, che alimenta un’economia armata, la quale esige instabilità e corruzione». «Che scandalo e che ipocrisia – condanna lucidamente il Papa – la gente viene violentata e uccisa mentre gli affari che provocano violenze e morte continuano a prosperare!».

E poi l’appello e il J’accuse diretto: «Rivolgo un vibrante appello a tutte le persone, a tutte le entità, interne ed esterne, che tirano i fili della guerra nella Repubblica Democratica del Congo, depredandola, flagellandola e destabilizzandola. Vi arricchite attraverso lo sfruttamento illegale dei beni di questo Paese e il cruento sacrificio di vittime innocenti. Ascoltate il grido del loro sangue (cfr Gen 4,10), prestate orecchio alla voce di Dio, che vi chiama alla conversione, e a quella della vostra coscienza: fate tacere le armi, mettete fine alla guerra. Basta! Basta arricchirsi sulla pelle dei più deboli, basta arricchirsi con risorse e soldi sporchi di sangue!».

Non bisogna dimenticare che già la guerra in Congo della fine degli anni Novanta ha prodotto quattro milioni di morti, è stata il più grande conflitto dopo la seconda guerra mondiale. Le ferite non curate da anni nel Paese hanno allargato nel tempo le guerre in cui si intrecciano dinamiche etniche che si contendono terre e potere con gravi violazioni dei diritti umani e che oggi vedono centoventi gruppi di guerriglia impegnati negli scontri.

Le sofferenze del popolo congolese sono state costantemente al centro della sollecitudine di Papa Francesco. Il viaggio apostolico nel Paese previsto a luglio, e poi posticipato, comprendeva inizialmente anche una tappa nella martoriata provincia del Nord Kivu per incontrare le vittime delle violenze. Tappa che è stata cancellata dal programma proprio a causa della perdurante insicurezza nella regione.

Ripetuti sono stati anche i suoi appelli ed espressioni di vicinanza nel corso del suo pontificato. In particolare la speciale veglia di preghiera per la pace in Congo e nel Sud Sudan da lui presieduta nella Basilica di San Pietro il 23 novembre 2017 e la Giornata di preghiera indetta il 23 febbraio del 2018 dopo il rinvio, per motivi di sicurezza, del suo viaggio in Sud Sudan che era stato annunciato per il 2017. In quelle occasioni Francesco aveva chiesto nuovamente sforzi adeguati, soprattutto da parte della comunità internazionale, nella ricerca della pace in questi due Paesi, attraverso il dialogo e il negoziato.

E nel suo discorso non ha mancato di ricordare quanti invece hanno perso la vita «mentre servivano la pace, come l’ambasciatore Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo, assassinati due anni fa nell’Est del Paese. Erano seminatori di speranza».

Ha quindi indicato che «amare la propria gente non significa nutrire odio nei riguardi degli altri. Anzi, voler bene al proprio Paese significa rifiutare di lasciarsi coinvolgere da quanti incitano a ricorrere alla forza. È un tragico inganno: l’odio e la violenza non sono mai accettabili, mai giustificabili, mai tollerabili, a maggior ragione per chi è cristiano. L’odio genera solo altro odio e la violenza altra violenza. Un “no” chiaro e forte va poi detto a chi li propaga in nome di Dio».

E ha chiesto infine ai congolesi di «non lasciatevi sedurre da persone o gruppi che incitano alla violenza in suo nome. Dio è Dio della pace e non della guerra. Predicare l’odio è una bestemmia».

Un bambino, vittima della crudeltà che dilaga in Congo, stringe la mano a papa Francesco - Reuters

La testimonianza di Emelda M'karhungulu

Testimonianza di Emelda M'karhungulu di Bukavu e Uvira: «I ribelli avevano fatto un’incursione nel nostro villaggio di Bugobe; era un venerdì sera del 2005. Hanno fatto irruzione nel villaggio, prendendo in ostaggio tutti quelli che potevano, deportando tutti quelli che trovavano, facendo loro portare le cose che erano state saccheggiate. Durante il tragitto, hanno ucciso molti uomini con proiettili o coltelli. Le donne invece le hanno portate al parco di Kahuzi-Biega».

«All’epoca avevo 16 anni - racconta -. Sono stata tenuta come schiava sessuale e abusata per tre mesi. Ogni giorno, da cinque a dieci uomini abusavano di ciascuna di noi. Ci hanno fatto mangiare la pasta di mais e la carne degli uomini uccisi. A volte mescolavano le teste delle persone con la carne degli animali. Questo era il nostro cibo quotidiano. Chi si rifiutava di mangiarlo veniva fatto a pezzi e gli altri erano costretti a mangiarlo».

«Vivevamo nudi perché non scappassimo. Ero una di quelle che obbedivano, fino al giorno in cui, per grazia, riuscii a fuggire quando ci mandarono a prendere l'acqua dal fiume…». E conclude: «Mettiamo ora sotto la croce di Cristo questi abiti degli uomini in armi che ancora ci fanno paura, per averci inflitto innumerevoli atti di violenza atroci e indicibili, che continuano ancora oggi. Vogliamo un futuro diverso. Vogliamo lasciarci alle spalle questo passato oscuro e poter costruire un bel futuro. Chiediamo giustizia e pace».

La testimonianza di Bijoux Mukumbi Kamala

Dal 2005 al 2020 a Goma, anche la testimonianza di Bijoux Mukumbi Kamala, che oggi ha 17 anni parla di simili orrori, violentata con crudeltà animalesca più volte al giorno per diverse ore per un anno e 7 mesi. Soprattutto le ragazze e le donne hanno infatti pagato il prezzo di violenze sessuali di ogni tipo e torture senza nome e molte hanno poi trovato rifugio e accoglienza nella Chiesa.

«Ecco la stuoia, simbolo della mia miseria di donna violentata. La metto sotto la croce di Cristo – ha detto Bijoux al Papa – affinché Cristo mi perdoni per le condanne che ho fatto nel mio cuore contro questi uomini. Che la croce di Cristo perdoni me e i miei stupratori e li porti a rinunciare a infliggere sofferenze alle persone. Questa è anche la lancia uguale a quelle con cui sono stati trafitti i petti di molti nostri fratelli. Che Dio ci perdoni tutti e ci insegni il rispetto per la vita umana».