Cari fratelli e sorelle, benvenuti!
Saluto il Movimento Apostolico Ciechi, che ha promosso questo incontro in occasione delle sue Giornate della Condivisione; e saluto la Piccola Missione per i Sordomuti, che ha coinvolto molte realtà dei sordi in Italia. Ringrazio per le parole rivolte dai due responsabili; ed estendo il mio saluto ai membri dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti che partecipano a questo incontro.
Vorrei fare con voi una breve riflessione a partire dal tema “Testimoni del Vangelo per una cultura dell’incontro”.
La prima cosa che osservo è che questa espressione termina con la parola “incontro”, ma all’inizio presuppone un altro incontro, quello con Gesù Cristo. In effetti, per essere testimoni del Vangelo, bisogna aver incontrato Lui, Gesù. Chi lo conosce veramente, diventa suo testimone. Come la Samaritana – abbiamo letto domenica scorsa –: quella donna incontra Gesù, parla con Lui, e la sua vita cambia; lei torna dalla sua gente e dice: “Venite a vedere uno che mi ha detto tutto quello che ho fatto, forse è il Messia!” (cfr Gv 4,29).
Testimone del Vangelo è uno che ha incontrato Gesù Cristo, che lo ha conosciuto, o meglio, si è sentito conosciuto da Lui, riconosciuto, rispettato, amato, perdonato, e questo incontro lo ha toccato in profondità, lo ha riempito di una gioia nuova, un nuovo significato per la vita. E questo traspare, si comunica, si trasmette agli altri.
Ho ricordato la Samaritana perché è un esempio chiaro del tipo di persone che Gesù amava incontrare, per fare di loro dei testimoni: persone emarginate, escluse, disprezzate. La samaritana lo era in quanto donna e in quanto samaritana, perché i samaritani erano molto disprezzati dai giudei. Ma pensiamo a tanti che Gesù ha voluto incontrare, soprattutto persone segnate dalla malattia e dalla disabilità, per guarirle e restituirle alla piena dignità. E’ molto importante che proprio queste persone diventano testimoni di un nuovo atteggiamento, che possiamo chiamare cultura dell’incontro. Esempio tipico è la figura del cieco nato, che ci verrà ripresentata domani, nel Vangelo della Messa (Gv 9,1-41).
Quell’uomo era cieco dalla nascita ed era emarginato in nome di una falsa concezione che lo riteneva colpito da una punizione divina. Gesù rifiuta radicalmente questo modo di pensare – che è un modo veramente blasfemo! - e compie per il cieco “l’opera di Dio”, dandogli la vista. Ma la cosa notevole è che quest’uomo, a partire da ciò che gli è accaduto, diventa testimone di Gesù e della sua opera, che è l’opera di Dio, della vita, dell’amore, della misericordia. Mentre i capi dei farisei, dall’alto della loro sicurezza, giudicano sia lui che Gesù come “peccatori”, il cieco guarito, con semplicità disarmante, difende Gesù e alla fine professa la fede in Lui, e condivide anche la sua sorte: Gesù viene escluso, e anche lui viene escluso. Ma in realtà, quell’uomo è entrato a far parte della nuova comunità, basata sulla fede in Gesù e sull’amore fraterno.
Ecco due culture opposte. La cultura dell’incontro e la cultura dell’esclusione, la cultura del pregiudizio, perché si pregiudica e si esclude. La persona malata o disabile, proprio a partire dalla sua fragilità, dal suo limite, può diventare testimone dell’incontro: l’incontro con Gesù, che apre alla vita e alla fede, e l’incontro con gli altri, con la comunità. In effetti, solo chi riconosce la propria fragilità, il proprio limite può costruire relazioni fraterne e solidali, nella Chiesa e nella società.
Cari amici, vi ringrazio di essere venuti e vi incoraggio ad andare avanti su questa strada, in cui già camminate. Voi del Movimento Apostolico Ciechi, facendo fruttificare il carisma di Maria Motta, donna piena di fede e di spirito apostolico. E voi della Piccola Missione per i Sordomuti, nella scia dal venerabile Don Giuseppe Gualandi. E tutti voi, qui presenti, lasciatevi incontrare da Gesù: solo Lui conosce veramente il cuore dell’uomo, solo Lui può liberarlo dalla chiusura e dal pessimismo sterile e aprirlo alla vita e alla speranza.