Udienza. Il Papa: come in Siria, la Chiesa sia casa dalle porte aperte
"Quando San Giuseppe è dovuto fuggire in Egitto non se ne è andato in carrozza, no. Era così, fuggendo. Precariamente fuggendo". Il Papa ha raccontato di aver ricevuto in dono l’opera di un artista, Massimiliano Ungarelli, che, ispirandosi a una fotografia, ha ritratto un papà siriano, stremato di forze, con il suo bambino sulle spalle”. Francesco ha inoltre rivelato che quel quadro gli ha fatto venire in mente san Giuseppe, costretto a fuggire in Egitto. E, al termine dell’udienza coi partecipanti all’iniziativa “Ospedali Aperti” in Siria della Fondazione Avsi ha deciso di offrire quest'immagine in dono ai presenti perché guardandola continuino a pensare “a questa fuga in Egitto di ogni giorno, di questo popolo che soffre tanto”.
"Di fronte a questa immensa sofferenza, la Chiesa è chiamata ad essere un 'ospedale da campo', per curare le ferite sia spirituali sia fisiche" ha aggiunto ancora il Papa
L'immagine donata da Francesco ai presenti rappresenta uno dei circa quattordici milioni di sfollati interni e rifugiati, ossia più di metà della popolazione siriana di prima del conflitto. "È un'immagine impressionante di tante sofferenze patite dalla popolazione siriana", ha concluso il Pontefice.
“Nelle nostre istituzioni assistenziali-caritative, le persone, soprattutto i poveri, devono sentirsi ‘a casa’ e sperimentare un clima di accoglienza dignitosa” così avevo esordito Francesco nell'incontro al palazzo Apostolico in Vaticano, alcuni dei rappresentanti della Fondazione Avsi. “Ospedali Aperti”, ha evidenziato il Pontefice, “è il vostro programma. Aperti a malati poveri, senza distinzione di appartenenza etnica e religiosa. Questa caratteristica esprime una Chiesa che vuol essere casa con le porte aperte e luogo di fratellanza umana”.
IL DISCORSO INTEGRALE DEL PAPA
Appello del cardinale Zenari nel bilancio di «Ospedali aperti» che ha curato 80mila persone: «In Siria si disattivi la bomba-povertà»
In cinque anni, negli “ospedali aperti” sono stati curati oltre 80mila siriani vulnerabili e si conta di arrivare a 100mila entro il 2024. Sembrano freddi numeri, ma ci sono occhi e vite dietro gli accessi nelle strutture ospedaliere gestite dal 2017 grazie al progetto “Ospedali aperti in Siria”, portato avanti da Avsi con il sostegno del dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano integrale e il dicastero per le Chiese orientali. Ora però è il momento di «non dimenticare la Siria», perché c’è una bomba da disinnescare. «È la bomba della povertà – spiega il nunzio apostolico a Damasco, il cardinale Mario Zenari – oggi il 90 per cento della popolazione siriana vive in povertà assoluta ». Il porporato, proprio in occasione del convegno sul progetto, sottolinea che nel Paese afflitto da 11 anni di guerra «si sta perdendo la speranza» e «non si parla di ricostruzione ». Ad oggi il progetto ha goduto di 18 milioni di euro (di cui 3 della Conferenza episcopale italiana) spesi per attrezzature sanitarie, per la formazione del personale, per ammodernare i tre ospedali gestiti da congregazioni religiose, due a Damasco e uno ad Aleppo, e i 4 dispensari collegati. La Siria tuttavia, aggiunge il cardinal Zenari, «non deve essere trasformata in un mendicante. Deve essere messa in piedi e in grado di riprendere il suo posto nel consesso delle nazioni, deve lavorare lei stessa per il suo sviluppo».
Un concetto ribadito anche da Giampaolo Silvestri, segretario generale Fondazione Avsi, per il quale «ad oggi non esiste nessun piano effettivo di ricostruzione. Nell’ultima conferenza a Bruxelles, i Paesi donatori si sono impegnati per 3 miliardi di dollari e finora ne sono stati raccolti meno della metà». Nel Paese, nel frattempo quasi 11,3 milioni di persone, di cui il 40 per cento bambini, non ricevono più cure mediche e non hanno accesso agli ospedali. Più della metà degli ospedali pubblici e dei centri di prima assistenza è fuori uso e si registra una presenza di soltanto il 45 per cento del personale sanitario che lavorava in Siria prima dell’inizio della crisi. Perciò gli ospedali aperti «sono stati un polmone almeno nelle due grandi città di Damasco ed Aleppo: non solo hanno curato i feriti della guerra, ma hanno tenuto accesa la speranza, dando lavoro e cercando di frenare l’esodo, soprattutto dei più giovani». Il cardinale Leonardo Sandri, prefetto del dicastero per le Chiese orientali, non nasconde poi che «le sanzioni mettono sempre più in ginocchio il Paese, penalizzando la popolazione e rendendo difficili gli aiuti».
Ospedali aperti ha «una duplice valenza », ricorda, infine, suor Alessandra Smerilli, segretario del dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, perché «rappresenta un dono per i beneficiari diretti, ma deve anche contribuire a sviluppare una profonda consapevolezza della rilevanza degli interventi e dei progetti degli organismi caritativi cattolici». Sono «un invito e un monito anche per le nostre realtà ecclesiali», gli fa eco don Leonardo Di Mauro, direttore del Servizio Cei per gli interventi caritativi a favore del Terzo mondo, perché ci sia sempre più «una Chiesa casa-ospedale aperta a tutti, per il bene di tutti. In questo senso il contributo della Cei diventa anche un monito di speranza perché nel mondo tacciano le armi».