Bassa Modenese. Bimbi sottratti, dopo 20 anni l'abbraccio del Papa ai genitori
«I bravi fedeli di Mirandola! Io vi ringrazio per come avete portato la croce e per come avete avuto il coraggio di difendere il parroco. Era innocente e voi lo avete tanto difeso». Era visibilmente commosso, questa mattina, papa Francesco, incontrando i genitori, i nonni e i fratelli dei bambini della Bassa Modenese, allontanati 20 anni fa dalle loro famiglie accusate di satanismo e abusi. Bambini mai più tornati a casa, nemmeno nei casi in cui i loro cari furono poi assolti. Tra le vittime della tragedia, anche don Giorgio Govoni, morto giovane di crepacuore sotto il peso delle false accuse.
«È sempre vissuto nella verità, è stato travolto dalla menzogna e dall’odio, ma anche per lui è arrivato il giorno della resurrezione», disse già il 19 maggio 2001 don Ettore Rovatti, parroco di Finale Emilia, mentre celebrava davanti a una folla straripante il primo anniversario dalla morte di don Govoni, «martire della carità, vittima della giustizia umana». Un anno prima don Giorgio era crollato a terra nello studio del suo avvocato: il pm il giorno dopo avrebbe chiesto per lui 14 anni di carcere...
Il calvario del sacerdote è stato deposto ieri ai piedi di Francesco come sacrificio supremo di una vita spesa al servizio degli ultimi: a portare la sua storia all’udienza di piazza San Pietro sono state proprio le famiglie di Finale Emilia, anche loro vent’anni fa implicate nella stessa tragedia del sacerdote denominata dai giudici "I Diavoli della Bassa", ovvero l’accusa di operare riti sanguinari e uccidere decine di bambini. Accusa secondo la quale a capo dei genitori "satanisti" sarebbe stato proprio don Giorgio, che con il suo Fiorino avrebbe via via scaricato nel fiume Panaro i mucchi di cadaveri...
Era esattamente la notte del 12 novembre 1998 quando gli agenti presero a suonare alle porte delle case o a presentarsi a scuola per allontanare definitivamente 16 bambini dalle famiglie. Tra loro i 4 figli di Lorena e Delfino Covezzi. Oggi c’era anche Lorena in udienza, arrivata apposta dalla Francia con Stefano, il quinto figlio e l’unico che le resta, scappata all’estero per partorirlo senza che le venisse tolto in sala parto. «Santo Padre – ha detto, mentre Francesco la guardava in silenzio negli occhi e vi leggeva un dolore impossibile da raccontare –, allora io e mio marito non eravamo indagati di nulla, ma gli agenti arrivati in casa all’alba ci dissero che dovevano prenderli perché a nostra insaputa gli zii e don Giorgio li portavano a fare riti satanici e abusi. Da quella notte non li abbiamo più visti. Neanche dopo l’assoluzione». «È un orrore che non deve ripetersi mai più. Il sistema deve cambiare e noi enti sociali abbiamo grande responsabilità», ha commentato il sindaco Sandro Palazzi, che ha voluto accompagnare i concittadini.
Il pensiero di Stefano, 19 anni, è andato proprio a quei quattro suoi fratelli: «Santo Padre, porti nelle sue preghiere i miei fratelli e le mie sorelle. Spero sempre di poterli rincontrare». Francesco ascoltava colpito, si capiva che conosce bene la vicenda. Carezzava con tenerezza la testa di nonna Lina, mamma di Lorena, 86 anni e un metro e 40 di altezza, ma una forza da gigante: «Noi abbiamo superato questa prova solo avendo la speranza nel Signore», gli ha spiegato lei. A nonna Lina portarono in carcere il marito, tre figli, la nuora. E sei nipotini le furono tolti, tutti travolti dalla stessa valanga.
È stata lei a consegnare al Papa una fotocopia del libro "Don Giorgio Govoni martire della carità cristiana", scritto anni fa dal successore don Ettore e poi ritirato dal mercato per le minacce subite dall’editore. «Siamo forse in dittatura? In Italia non c’è la libertà di stampa? – ha reagito Francesco stringendo sempre la mano a nonna Lina –. Fate forza per ripubblicare questo libro, la libertà di stampa è per tutti», si è raccomandato più volte.
Il decesso di don Giorgio impedì un giusto processo. L’assoluzione però la ebbe fin dal primo giorno dall’intera popolazione, dai parrocchiani e dai non credenti che ben conoscevano la sua abnegazione. «Vittima innocente della calunnia e della faziosità umana – scrissero sulla sua lapide ben prima che i giudici dichiarassero inverosimili quei racconti –, ha aiutato assiduamente i bisognosi. Accusato di crimine non commesso, è stato vinto dal dolore».
«Lo chiamavano tutti "il prete camionista" – hanno ricordato i finalesi – perché finito il suo lavoro di parroco si metteva alla guida dei camion per guadagnare i soldi da dare ai bisognosi. Aiutava tutti, italiani e stranieri, accolse i primi immigrati nella casa di sua zia, fondò l’associazione "Il Porto" perché nessuno doveva soffrire la miseria e l’abbandono. È ora che la santità di questo prete di strada sia riconosciuta», hanno detto, intenzionati ad avviare una causa di beatificazione. «Questo era don Giorgio – ha commentato don Daniele Bernabei, attuale parroco –, un sacerdote accusato e calunniato per la sua grande opera di carità».