Il viaggio. Il Papa a Cipro: «Abbattere i muri e coltivare il sogno dell’unità»
Qui la Green Line è un confine di demarcazione fatto di muri e filo spinato e una zona cuscinetto separata dai caschi blu dell’Unficyp. Nicosia, nell’isola che è porta d’Oriente e d’Occidente, che ha alle spalle un susseguirsi di civiltà, a partire da quella greca, romana e bizantina, è l’ultima capitale divisa nel continente europeo.
«È un viaggio bello ma anche toccheremo piaghe». E così, sul volo che lo ha portato al crocevia estremo dell’Europa, papa Francesco ha voluto dare ouverture ai giorni di questa trentacinquesima visita apostolica a Cipro e in Grecia. E già prima di arrivare in aeroporto aveva incontrato in Vaticano un gruppo di profughi che erano transitati per il campo di Lesvos negli scorsi anni, e alcuni di loro erano arrivati in Italia con Francesco sull’aereo papale nel 2016 e altri ancora ne ha voluti incontrare anche a Fiumicino prima di salire sulle scalette dell’aereo verso le terra della culla dell’umanità. Sotto il cielo limpido che lo ha accolto all’aeroporto di Lanarca – la città fenicia che diventa cristiana nel I secolo e dove la tradizione vuole che il suo primo vescovo sia stato quel Lazzaro risuscitato da Gesù – Francesco si è così diretto a Nicosia per incontrare qui subito la piccola comunità ecclesiale, maronita e latina, di Cipro.
Sentendo la necessità di parlare con loro per primi. Religiosi e sacerdoti, con il cardinale Béchara Boutros Raï, Patriarca di Antochia dei Maroniti, lo hanno incontrato nella Cattedrale maronita di Nostra Signora delle Grazie. Una realtà ecclesiale che ha alle spalle secoli travagliati attraversando, come i primi apostoli, marosi e tempeste e da 47 anni, come tutti, non ha ancora ancora visto la fine di quella tragica pagina del 1974, quando dopo l’invasione dei turchi, la terra marcata dalla presenza dei testimoni del Vangelo, Paolo e Barnaba, si è ritrovata divisa in due parti, una greco-cipriota e una turco-cipriota.
«Non ci sono e non ci siano muri nella Chiesa cattolica: è una casa comune, è il luogo delle relazioni, è la convivenza delle diversità» ha detto Francesco rivolgendosi ai fedeli staccando gli occhi dalle pagine scritte. E dopo aver ascoltato alcune testimonianze ha parlato di san Barnaba, «traendo dalla sua vita e dalla sua missione due parole».
«La prima – ha detto – è pazienza. La pazienza di accogliere la novità senza giudicarla frettolosamente; la pazienza del discernimento, che sa cogliere i segni dell’opera di Dio ovunque; la pazienza di “studiare” altre culture e tradizioni». E poi di quella che chiama «la pazienza dell’accompagnamento: che non schiaccia con l'atteggiamenti rigorosi, inflessibili, o con richieste troppo esigenti in merito all’osservanza dei precetti».
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