Egitto. Il Papa al patriarca copto: il sangue dei vostri martiri è il nostro sangue
come confessa la dichiarazione Comune firmata nel maggio 1973 da Paolo VI dal Patriarca Shenuda III, pietra miliare delle relazioni tra la due Chiese.
Uniti da Cristo stesso, non dagli sforzi umani
Con quel documento – ha ricordato papa Francesco – si è posto fine a «secoli di storia difficili», che a partire dalla controversie cristologiche dei primi secoli avevano alzato il muro della divisione tra cattolici e copti. Ma soprattutto, con le espressioni contenute in quel documento comune, la Chiesa di Roma e la Chiesa copta «hanno proclamato la signoria di Gesù: insieme abbiamo confessato che a Gesù apparteniamo e che Egli è il nostro tutto». E a partire da questo – ha proseguito il Successore di Pietro, rivolto al Successore di San Marco – abbiamo compreso che, essendo suoi, non possiamo più pensare di andare avanti ciascuno per la sua strada, perché tradiremmo la sua volontà». Davanti a Cristo, che ci desidera «perfetti nell’unità» – ha proseguito papa Bergoglio – «non è più possibile nasconderci dietro i pretesti di divergenze interpretative e nemmeno dietro secoli di storia e di tradizioni che ci hanno reso estranei».
Il cammino verso il ripristino della piena unità sacramentale non procede in forza di cortesie ecumeniche o sforzi di volontà: papa Francesco ha chiarito che esso è possibile solo in virtù di «una comunione già effettiva, che cresce ogni giorno nel rapporto vivo con il Signore Gesù, si radica nella fede professata e si fonda realmente sul nostro battesimo».
Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, come scrive San Paolo nella lettera agli Efesini. «Da qui» ha ribadito il Vescovo di Roma, citando l’Apostolo delle Genti «ripartiamo sempre, per affrettare il giorno tanto desiderato in cui saremo in piena e visibile comunione all’altare del Signore».
Un cammino da fare in compagnia dei santi
Nel cammino verso la comunione piena e visibile presso l’altare, i cristiani di oggi, spinti da Cristo – ha continuato papa Francesco – non procedono da soli, ma sono accompagnati e sostenuti da «un’enorme schiera di santi e di martiri». Il pensiero del Papa è
corso all’inizio, all’amicizia e al conforto reciproco che univa proprio i santi Pietro e Marco, l’apostolo e l’evangelista che oggi hanno i loro rispettivi successori in papa Francesco e in papa Tawadros. La delicata premura, nutrita dalla fede in Cristo, che connotava l’amicizia tra Pietro e Marco – ha notato Francesco – oggi trova un riflesso nella «attenzione genuina e fraterna» che Tawadros mostra per il piccolo gregge dei 200mila copti cattolici egiziani (come non era avvenuto, ad esempio, sotto il suo predecessore, il Patriarca Shenuda). È conveniente – ha detto – che cattolici e ortodossi percorrano insieme la via di una concreta gratuità reciproca, manifestando la fede comune anche nella condivisione di gesti e opere di carità. E ha rimarcato: «Copti ortodossi e cattolici possiamo sempre più parlare insieme questa lingua comune della carità: prima di intraprendere una iniziativa di bene, sarebbe bello chiederci se possiamo farla con i nostri fratelli e sorelle che condividono la fede in Gesù. Così,
edificando la comunione nella concretezza quotidiana della testimonianza vissuta, lo Spirito non mancherà di aprire vie provvidenziali e impensate di unità».
La vittoria dei martiri e la fede che fiorisce nel deserto
Insieme ai santi, a sostenere «in modo misterioso e quanto mai attuale» i cristiani di oggi nel cammino verso la piena comunione visibile ci sono anche i martiri, che prefigurano e anticipano la piena unità sacramentale con il loro «ecumenismo del sangue». Papa Francesco, nel suo discorso, ha fatto un accenno lieve e non insistito alle recenti stragi che hanno martoriato la Chiesa copta, per rimarcare che le ultime vittime innocenti di Alessandria e di Tanta, del Cairo e di al Arish già appartengono al venerabile martirologio della Chiesa copta, e si collocano nella scia degli innumerevoli uomini e donne che in Egitto hanno versato il proprio sangue solo perché portavano il nome di Cristo.
«Come unica è la Gerusalemme celeste», ha detto papa Francesco rivolto al «carissimo fratello» Tawadros – «unico è il nostro martirologio, e le vostre sofferenze sono anche le nostre sofferenze, il loro sangue innocente ci unisce». Dopo le prime persecuzioni in Egitto fiorì il monachesimo cristiano, «una forma nuova di vita che, donata al Signore, nulla tratteneva per sé». Quel prodigio di vita nuova «fece fiorire di santità il deserto». Per Francesco la sua visita in Egitto – ha confessato–è stata il viaggio di un pellegrino pieno di stupore per i prodigi che il Signore stesso ha fatto nascere e continua a far nascere in quella terra, dove Gesù stesso, umile, «trovò rifugio da bambino». E oggi può concedere ai cristiani di ripartire insieme, «pellegrini di comunione e annunciatori di pace». Condotti per mano da «Colei che qui ha accompagnato Gesù e che la grande tradizione teologica egiziana ha acclamato fin dall’antichità Theotokos, Genitrice di Dio». La Vergine Santa, «che sempre ci conduce a Gesù» a cui si può sempre chiedere di portare ancora «un po’ di Cielo sulla nostra terra».