Medio Oriente. Il Papa chiede di nuovo pace: «Fermare le armi, liberare gli ostaggi»
Papa Francesco con gli ambasciatori davanti all’Ulivo della Pace piantato dieci anni fa con i presidenti Abu Mazen e Shimon Peres
lsraele e Palestina «hanno bisogno di un abbraccio di pace». E per questo abbraccio, che metterebbe fine alla guerra, il Papa prega ogni giorno. Lo ha detto egli stesso ieri pomeriggio nei Giardini Vaticani, durante la commemorazione del decennale dell'invocazione per la pace in Terra Santa del giugno 2014, pochi giorni dopo il suo viaggio in Terra Santa. «Penso a quanto sia urgente - ha notato infatti il Pontefice - che dalle macerie di Gaza si levi finalmente la decisione di fermare le armi e, perciò, chiedo che ci sia un cessate-il-fuoco; penso ai familiari e agli ostaggi israeliani e chiedo che siano liberati il prima possibile; penso alla popolazione palestinese e chiedo che sia protetta e riceva tutti gli aiuti umanitari necessari; penso ai tanti sfollati a causa dei combattimenti, e chiedo che presto le loro case vengano ricostruite perché possano ritornarvi in pace». E dunque, ha aggiunto, «ogni giorno prego perché questa guerra volga finalmente al termine. Penso a tutti coloro che soffrono, in Israele e Palestina: ai cristiani, agli ebrei e ai musulmani».
Durante la cerimonia, il Pontefice ha in pratica ravvivato l’albero che dieci anni fa fu piantato alla presenza dei presidenti Shimon Peres (allora alla guida di Israele) e Mahmoud Abbas (Palestina) e del patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo.
Ieri pomeriggio, insieme con il Papa c’erano una rappresentanza della comunità islamica con Abdallah Redouane della Moschea di Roma e di quella ebraica con il rabbino Alberto Funaro. Diversi gli ambasciatori presso la Santa Sede presenti, tra i quali naturalmente quelli palestinese e israeliano e anche i diplomatici di Russia e Ucraina. Hanno presenziato al momento di preghiera anche 23 cardinali. Francesco, dieci anni dopo, davanti all’albero piantato allora, che è cresciuto mentre purtroppo il processo di pace no, ha fatto notare « Tanto sangue versato; tante vite spezzate; tante speranze seppellite». E tuttavia «palestinesi e israeliani di buona volontà non smettono di attendere nella speranza l’arrivo di un giorno nuovo e si adoperano ad anticipare l’alba di un mondo pacifico in cui tutti i popoli spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra». Quindi ha esortato: «Tutti dobbiamo lavorare e impegnarci affinché si raggiunga una pace duratura, dove lo Stato di Palestina e lo Stato d'Israele possano vivere l'uno accanto all'altro; tutti dobbiamo avere a cuore Gerusalemme, affinché diventi la città dell’incontro fraterno tra cristiani, ebrei e musulmani, tutelata da uno statuto speciale garantito a livello internazionale».
La pace, ha infatti ricordato il Pontefice, «non si fa soltanto sugli accordi di carta o sui tavoli dei compromessi umani e politici. Essa nasce da cuori trasformati, sorge quando ciascuno di noi viene raggiunto e toccato dall’amore di Dio, che scioglie i nostri egoismi, frantuma i nostri pregiudizi e ci dona il gusto e la gioia dell’amicizia, della fraternità, della solidarietà reciproca. Non ci può essere pace se prima non lasciamo che Dio stesso disarmi il nostro cuore, per renderlo ospitale, compassionevole e misericordioso». Nel 2014 Francesco disse: «Per fare la pace ci vuole coraggio». Anche ieri ha ripetuto «Donaci il coraggio di dire: “mai più la guerra!”; “con la guerra tutto è distrutto!”. Infondi in noi il coraggio di compiere gesti concreti per costruire la pace».