Il gesto. Il Papa ha aperto la Porta Santa di Rebibbia: «Una “basilica”»
Papa Francesco ha aperto la seconda Porta Santa dell'Anno Santo 2025, sicuramente la più originale. Quella del carcere romano di Rebibbia, definita da lui stesso "basilica tra virgolette". Bussando tre volte ai battenti di metallo, Francesco ha aperto l'uscio. Quindi ha varcato la Porta Santa a piedi (e non sulla sedia a rotelle come era accaduto nella basilica di San Pietro). Accanto a lui il vescovo ausiliare di Roma mons. Benoni Ambarus. "Ho voluto che la seconda Porta Santa fosse qui, in un carcere. Ho voluto che ognuno di noi, che siamo qui dentro e fuori, avessimo la possibilità di spalancare le porte del cuore e capire che la speranza non delude", ha detto il Papa prima di varcare la Porta Santa ed entrate nella chiesa del Padre Nostro all'interno del carcere. Successivamente, a mezzogiorno, Francesco si è affacciato alla finestra del Palazzo Apostolico per l'Angelus e ha ricordato l'esperienza vissuta poche ore prima tra i detenuti del carcere romano. E prima della preghiera mariana ha anche ricordato Santo Stefano, sottolineando che anche oggi sono molti i perseguitati per la loro fede.
A Rebibbia erano presenti alla celebrazione il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, circa trecento detenuti (e altrettante persone all'esterno), il personale della polizia penitenziaria, i cappellani della casa circondariale e l'arcivescovo Rino Fisichella, pro prefetto del Dicastero per l'evangelizzazione, cui è demandata l'organizzazione del Giubileo. Presente anche il capo del Dap Giovanni Russo che nei giorni scorsi ha presentato le dimissioni, oltre ad Alessandro Diddi, pg del tribunale vaticano, e il cardinale José Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero della Cultura. Il Papa ha poi dato il via alla celebrazione della Messa e ha pronunciato una breve omelia a braccio.
La Porta Santa del carcere di Rebibbia, aperta dal Papa - Pool Aigav
«È un bel gesto quello di spalancare, aprire le porte - ha detto il Pontefice -. Ma più importante è quello che significa. E cioè aprire il cuore. Cuori aperti. E questo fa la fratellanza. I cuori chiusi, duri, non aiutano a vivere. Per questo la grazia di un Giubileo è spalancare, aprire. E soprattutto aprire i cuori alla speranza. La speranza non delude mai. Pensate bene a questo. Anch'io l'ho pensato - ha sottolineato -. Perché nei momenti brutti uno pensa che tutto è finito, che non si risolve niente, ma la speranza non delude mai. A me piace pensare la speranza come l'ancora che è sulla riva e noi con la corda stiamo lì, sicuri perché la speranza è come l'ancora sulla terra. Non perdere la speranza, questo è il messaggio che voglio darvi. A tutti - ha incoraggiato ancora Francesco -. Non perdere la speranza, la speranza mai delude. A volte la corda è difficile e ci fa male alle mani, ma sempre con la corda in mano, guardando la riva, con l'ancora che ci porta avanti. Sempre c'è qualcosa di buono. Quindi la mano alla corda e le finestre spalancate, le porte spalancate. Soprattutto le porte del cuore. Quando il cuore è chiuso, diventa duro una pietra, si dimentica delle tenerezza. Anche nelle situazioni più difficili sempre il cuore aperto, il cuore che ci fa fratelli. Spalancate le porte del cuore. Ognuno sa fa come farlo. E sa dove la porta è chiusa, semichiusa. Vi auguro un grande Giubileo, vi auguro molta pace. E oggi giorno prego per voi. Davvero. Non è un modo di dire. Penso a voi e prego per voi. E voi pregate per me».
Il Papa presiede la Messa nel carcere di Rebibbia dove ha aperto la Porta Santa - Pool Aigav
Al termine della messa il Papa ha ribadito: «Aggrapparsi alla corda della speranza e spalancare i cuori». Parole ancor più significative, alla luce della triste situazione delle carceri italiane, dove quest'anno, secondo un rapporto dell'Associazione Antigione si sono verificati 88 suicidi e il sovraffollamento è al 170 per cento dei posti disponibili. Poi prima di andar via ha augurato buon anno ("che il prossimo sia migliore di questo") e rivolto un saluto a «coloro che sono rimasti in cella». Poco prima monsignor Fisichella aveva dato lettura della pergamena che il Papa ha donato a ricordo della celebrazione odierna.
Sono stati consegnati al Papa anche alcuni doni: dagli uomini del Nuovo Complesso, la riproduzione in miniatura della porta della Chiesa del Padre Nostro, realizzata all'interno del laboratorio "Metamorfosi", utilizzando i legni dei barconi dei migranti; dalle donne di Rebibbia femminile un cesto di contenente olio, biscotti, ceramiche e bavaglini, frutto del loro lavoro. E un quadro da parte dell'Amministrazione Penitenziaria, raffigurante un Cristo che salva, opera dell'artista Elio Lucente, ex poliziotto penitenziario.
Per papa Francesco, che si è trattenuto a salutare a uno a uno i partecipanti alla liturgia, si è trattato della quindicesima visita in un carcere, la terza a Rebibbia dopo quelle del 2015 e del giovedì santo di quest'anno, quando aveva celebrato là la Messa in coena Domini con la lavanda dei piedi a dodici detenute del braccio femminile.
Incontrando poi i giornalisti fuori dal carcere, Francesco ha detto di non aver parlato con Nordio di un eventuale indulto o amnistia, ma per lui è stato molto importante aprire questa seconda porta Santa, la prima dopo quella di San Pietro. "Il carcere è diventato una basilica tra virgolette". Tanti dei detenuti incontrati, ha aggiunto il Pontefice, "non sono pesci grossi, i pesci grossi hanno la scusa di rimanere fuori. Dobbiamo accompagnare i detenuti e Gesù dice che il giorno del giudizio saremo giudicati su questo: ero in carcere e mi hai visitato".
L'Angelus di Santo Stefano - ANSA
L'Angelus di Santo Stefano
Il Papa è tornato sulla sua visita in carcere anche al momento dell'Angelus, recitato come di consueto dalla finestra del Palazzo Apostolico. Riandando all'esperienza del primo martire Santo Stefano, che si festeggia oggi, ha sottolineato: "Purtroppo ancora oggi ci sono, in varie parti del mondo, molti uomini e donne perseguitati, a volte fino alla morte, a causa del Vangelo". I cristiani "non si lasciano uccidere per debolezza, né per difendere un'ideologia, ma per rendere tutti partecipi del dono di salvezza. E lo fanno in primo luogo proprio per il bene dei loro uccisori, e pregano per loro". A tal proposito ha citato la testimonianza di uno dei monaci martiri di Tibirine in Algeria, che chiamo il suo carnefice “amico dell’ultimo minuto” e gli esprimeva questo desiderio: «Che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in Paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due». Quindi ha ribadito la richiesta di "pace per la martoriata Ucraina, per Israele, Gaza, Myanmar" e ha aggiunto: "Una delle azioni che caratterizzano i Giubilei è la remissione dei debiti. Incoraggio pertanto tutti a sostenere la campagna di Caritas Internationalis intitolata 'Trasformare il debito in speranza' per sollevare i Paesi oppressi da debiti insostenibili e promuovere lo sviluppo. La questione del debito - ha sottolineato papa Francesco - è legata a quella della pace e del mercato nero degli armamenti. Basta colonizzare i popoli con le armi. Lavoriamo per il disarmo, lavoriamo contro la fame, contro le malattie, contro il lavoro minorile. Preghiamo, per favore, per la pace nel mondo intero".
Francesco ha ringraziato per gli auguri ricevuti a Natale e fatto a sua volta gli auguri di "pace di Fraternità" agli ebrei per la festa di delle luci, Hannukkah, celebrata per otto giorni.