Papa

Il messaggio. Il Papa: la pace è artigianale, la costruiamo con i nostri gesti

Riccardo Maccioni mercoledì 15 maggio 2024

Il Papa stamani in Piazza San Pietro

La pace è «artigianale: non la costruiscono solo i potenti con le loro scelte e i loro trattati internazionali, che restano scelte politiche quanto mai importanti e urgenti». Lo sottolinea il Papa in un messaggio alla città di Verona dove sarà sabato prossimo 18 maggio per partecipare all'iniziativa "Arena di pace". Nella sua riflessione, pubblicata sul quotidiano scaligero "L'Arena", Francesco aggiunge che «la pace la costruiamo noi, nelle nostre case, in famiglia, tra vicini di casa, nei luoghi dove lavoriamo, nei quartieri dove abitiamo». Possiamo fare pace, continua il Pontefice, «aiutando un migrante che mendica in strada, visitando un anziano che è solo e non ha nessuno con cui parlare, moltiplicando i gesti di cura e di rispetto verso il povero che è il pianeta Terra, così maltrattato dal nostro egoismo sfruttatore, accogliendo ogni nascituro che viene al mondo, gesto che per santa Madre Teresa era un autentico atto di pace». Sono "piccoli tasselli" che se si saldano insieme, «costruiscono una pace grande, che espande il suo profumo ovunque. In queste scelte di pace e di giustizia quotidiane e a portata di mano possiamo seminare l'inizio di un mondo nuovo, dove la morte non avrà l'ultima parola e la vita fiorirà per tutti».

Francesco ha parlato di pace anche stamani a margine dell'Udienza generale in Piazza San Pietro, invitando a non dimenticare «la martoriata Ucraina, la Palestina, Israele, il Myanmar. Preghiamo per la pace, preghiamo per tutti i popoli che
soffrono la guerra – ha aggiunto Francesco -. Tutti insieme, col cuore grande, preghiamo perché ci sia la pace definitiva. E niente guerre, niente! Perché la guerra è sempre una sconfitta, sempre». Nella riflessione del Papa anche un richiamo alla tutela della vita umana che va protetta «dal concepimento alla morte naturale». In particolare, ricordando la solennità di Pentecoste che sarà celebrata il 19 maggio, il Pontefice ha sottolineato che «lo Spirito Santo ci solleva sempre a un grande amore disinteressato verso i poveri, i malati e gli indifesi, come i bambini non ancora nati». Di qui il richiamo alla campana proveniente dalla Polonia e denominata “La voce dei non nati” che nei prossimi giorni sarà portata dalla fondazione “Sì alla vita” in Kazakistan, per ricordarci «la necessità di proteggere la vita umana dal concepimento alla morte naturale».

Francesco a bordo della "papamobile" - Ansa

In precedenza, la catechesi settimanale era stata dedicata alla carità, virtù teologale definita, con san Paolo «la più grande di tutte». E anche il criterio su cui si deciderà il nostro futuro definitivo. «Alla sera della vita – ha aggiunto il Pontefice - non saremo giudicati sull'amore generico, ma proprio sulla carità», che è espressione di un itinerario umano e spirituale molto difficile., anzi «impossibile se non si vive in Dio». La nostra natura, infatti, «ci fa amare spontaneamente ciò che è buono e bello. In nome di un ideale o di un grande affetto possiamo anche essere generosi e compiere atti eroici. Ma l'amore di Dio va oltre questi criteri. L'amore cristiano abbraccia ciò che non è amabile, offre il perdono - quanto amore ci vuole per perdonare -, benedice quelli che maledicono», mentre «noi siamo abituati davanti a un insulto o a una maledizione, a rispondere con un altro insulto o un'altra maledizione». Si tratta allora di impegnarsi lungo un sentiero difficile, controvento. Perché «anche ai nostri giorni l'amore è sulla bocca di tutti, è sulla bocca di tanti “influencer” e nei ritornelli di tante canzoni». Si tratta dell’amore sentimentale, emotivo, che toglie il fiato, e che naturalmente va benissimo. Gesù però chiede altro, insegna quello che i greci hanno definito “agape”, vocabolo che noi traduciamo appunto “carità”. Perché anche i cristiani «sono capaci di tutti gli amori del mondo – aggiunge Francesco -: anche loro si innamorano, più o meno come capita a tutti. Anche loro sperimentano la benevolenza che si prova nell’amicizia. Anche loro vivono l’amor di patria e l’amore universale per tutta l’umanità. Ma c’è un amore più grande, che proviene da Dio e si indirizza verso Dio, che ci abilita ad amare Dio, a diventare suoi amici, e ci abilita ad amare il prossimo come lo ama Dio, col desiderio di condividere l’amicizia con Dio. Questo amore, a motivo di Cristo, ci spinge là dove umanamente non andremmo: è l’amore per il povero, per ciò che non è amabile, per chi non ci vuole bene e non è riconoscente. È l’amore per ciò che nessuno amerebbe; anche per il nemico. Questo è “teologale”, cioè viene da Dio, è opera dello Spirito Santo in noi». Una considerazione tanto più significativa alla vigilia della Solennità di Pentecoste che sarà celebrata domenica prossima.