La lettera. Francesco a Maggiani: “La cultura denunci chi sfrutta il lavoro”
«Credo che pubblicare scritti belli ed edificanti creando ingiustizie sia un fatto di per sé ingiusto. E per un cristiano ogni forma di sfruttamento è peccato». È uno dei passaggi più forti della lunga lettera che papa Francesco ha inviato in forma personale allo scrittore Maurizio Maggiani, che nella sua rubrica domenicale sul quotidiano genovese Il Secolo XIX aveva sollevato la questione emersa con l’indagine giudiziaria che ha coinvolto anche la famosa tipografia «Grafica Veneta». Una inchiesta - come ha scritto Avvenire lo scorso 27 luglio - che ha fatto emergere il presunto sfruttamento di lavoratori stranieri (nel caso specifico pachistani) assunti dalla BM Service (una ditta che distribuisce manodopera per alcune importanti aziende del Nord Italia, tra cui, appunto, la «Grafica Veneta») costretti a lavorare fino a 12 ore al giorno, a versare parte del proprio stipendio alla BM service stessa, e a pagare l’affitto per un posto letto in ambienti sovraffollati. Uno sfruttamento del quale, secondo i magistrati di Padova, la nota tipografia sarebbe stata al corrente (due infatti i manager indagati), anche se il presidente Fabio Franceschini respinge l’accusa.
Proprio da queste notizie lo scrittore Maggiani, che nei propri libri racconta «e sento il dovere di farlo, soprattutto le storie di silenti, degli ultimi», rivolgendosi a papa Francesco si era domandato se «vale la pena di scrivere storie con l’ardore delle migliori intenzioni che vorremmo ricche di bellezza, se poi per offrirle al lettore abbiamo bisogno del lavoro di schiavi?».
«Sono rimasto molto colpito dalle sue parole – risponde il Papa nella lettera inviata allo scrittore e pubblicata ieri da La Stampa –. Lei non pone una domanda oziosa, perché in gioco c’è la dignità delle persone, quella dignità che oggi viene troppo spesso e facilmente calpestata con il lavoro-schiavo». E se questo avviene persino nella letteratura, si resta basiti. Ma nella sua lettera Francesco non si limita a ribadire che «ogni forma di sfruttamento è peccato», ma cerca anche di rispondere alla domanda: «Che cosa posso fare io?», lanciata da Maggiani. Rinunciare a pubblicare, rinunciare alla bellezza di un testo letterario «sarebbe una ritirata a sua volta ingiusta» risponde papa Bergoglio, ma «la penna o la tastiera del computer ci offrono un’altra possibilità: quella di denunciare, di scrivere cose anche scomode per scuotere dall’indifferenza, per stimolare le coscienze, inquietandole perché non si lascino anestetizzare dal "non mi interessa, non è affare mio, cosa ci posso fare se il mondo va così?"». Far dunque sentire la propria voce per scardinare l’indifferenza, perché «la cultura non si lasci soggiogare dal mercato» in cui a spadroneggiare sono «i soldi e gli interessi». Occorre invece «denunciare i meccanismi di morte, le strutture di peccato».
E accanto al non tacere davanti alle ingiustizie e allo sfruttamento dell’essere umano, papa Francesco pone con forza anche l’essere «chiamati anche al coraggio di rinunciare. Non alla letteratura e alla cultura, ma ad abitudini e vantaggi che, oggi dove tutto è collegato, scopriamo, per meccanismi perversi dello sfruttamento, danneggiare la dignità di nostri fratelli e sorelle. È un segno potente rinunciare a posizioni e comodità per fare spazio a chi non ha spazio. Dire di no per un sì più grande». Insomma «per testimoniare che un’economia diversa, a misura d’uomo, è possibile», ribadisce con forza il Pontefice che non perde mai l’occasione per ripetere questo concetto, che gli sta così a cuore da promuovere una mobilitazione denominata «The Economy of Francesco», che sta coinvolgendo migliaia di giovani che nel campo dell’economia, della finanza e dell’impresa vogliono spendere il proprio futuro.