Viaggio apostolico. Papa Francesco in Ungheria: «Cercare la pace oltre i nazionalismi»
Papa Francesco nella Basilica di Santo Stefano, in tanti seguono l'incontro in piazza con i maxischermi
Da Budapest, “città di storia, città di ponti, città di santi”, papa Francesco lancia un appello al Vecchio Continente per “ritrovare l’anima europea”. Per recuperarla in un momento storico in cui la politica è “regredita a una sorta di infantilismo bellico”, in un frangente segnato dalla guerra in Ucraina, dove “pare di assistere al triste tramonto del sogno corale di pace” e “tornano a ruggire i nazionalismi”.
Il Pontefice inizia il suo viaggio di tre giorni in Ungheria, affrontando subito uno dei temi chiave di questa visita apostolica: la pace. Allo stesso tempo, usando parole forti su temi eticamente sensibili come l’aborto e la cultura gender, esorta l’Europa a non essere “ostaggio” da una parte di “populismi autoreferenziali” e dall’altra di un “sovranazionalismo astratto”. E la invita ad affrontare “insieme, comunitariamente” il fenomeno migratorio.
Francesco lo fa poco dopo le 12, nell’incontro con le autorità, con la società civile e con il corpo diplomatico, con un discorso denso di contenuti e messaggi. All’Ungheria, ma non solo. “Nel dopoguerra – dice il Papa - l’Europa ha rappresentato, insieme alle Nazioni Unite, la grande speranza, nel comune obiettivo che un più stretto legame fra le Nazioni prevenisse ulteriori conflitti”. Ma nel mondo in cui viviamo “la passione per la politica comunitaria e per la multilateralità sembra un bel ricordo del passato: pare di assistere al triste tramonto del sogno corale di pace, mentre si fanno spazio i solisti della guerra”.
In generale “sembra essersi disgregato negli animi l’entusiasmo di edificare una comunità delle nazioni pacifica e stabile, mentre si marcano le zone, si segnano le differenze, tornano a ruggire i nazionalismi e si esasperano giudizi e toni nei confronti degli altri”. A livello internazionale “pare persino che la politica abbia come effetto quello di infiammare gli animi anziché di risolvere i problemi, dimentica della maturità raggiunta dopo gli orrori della guerra e regredita a una sorta di infantilismo bellico”. Ma la pace, rimarca il Papa, “non verrà mai dal perseguimento dei propri interessi strategici, bensì da politiche capaci di guardare all’insieme, allo sviluppo di tutti: attente alle persone, ai poveri e al domani; non solo al potere, ai guadagni e alle opportunità del presente”.
Per Francesco “in questo frangente storico l’Europa è fondamentale”. Perché essa, grazie alla sua storia, “rappresenta la memoria dell’umanità ed è perciò chiamata a interpretare il ruolo che le corrisponde: quello di unire i distanti, di accogliere al suo interno i popoli e di non lasciare nessuno per sempre nemico”. È dunque “essenziale ritrovare l’anima europea: l’entusiasmo e il sogno dei padri fondatori, statisti che hanno saputo guardare oltre il proprio tempo, oltre i confini nazionali e i bisogni immediati, generando diplomazie capaci di ricucire l’unità, non di allargare gli strappi”. Il Papa evoca le figure di De Gasperi, Schuman e Adenauer. E poi aggiunge una domanda che è un giudizio nei confronti del Vecchio Continente: “In questa fase storica i pericoli sono tanti; ma, mi chiedo, anche pensando alla martoriata Ucraina, dove sono gli sforzi creativi di pace?”.
Parlando di Budapest come “città di ponti” il Papa auspica un’Europa "costruita per creare ponti tra le nazioni", che quindi "necessita del contributo di tutti senza diminuire la singolarità di alcuno". Francesco pensa ad un Europa che “non sia ostaggio delle parti, diventando preda di populismi autoreferenziali, ma che nemmeno si trasformi in una realtà fluida, se non gassosa, in una sorta di sovranazionalismo astratto, dimentico della vita dei popoli”. Lo fa denunciando “la via nefasta delle ‘colonizzazioni ideologiche’, che eliminano le differenze, come nel caso della cosiddetta cultura gender, o antepongono alla realtà della vita concetti riduttivi di libertà, ad esempio vantando come conquista un insensato ‘diritto all’aborto’, che è sempre una tragica sconfitta”. Il sogno è “costruire un’Europa centrata sulla persona e sui popoli, dove vi siano politiche effettive per la natalità e la famiglia, perseguite con attenzione in questo Paese, dove nazioni diverse siano una famiglia in cui si custodiscono la crescita e la singolarità di ciascuno”. Per Francesco nella costruzione di questa Europa “la fede cristiana è di aiuto e l’ Ungheria può fare da ‘pontiere’”, avvalendosi anche “del suo specifico carattere ecumenico”.
Infine Budapest, come “città di santi”. Francesco cita Santo Stefano, primo re d'Ungheria, e in particolare i suoi "Ammonimenti" al figlio, laddove raccomanda di essere “gentile” anche “con gli stranieri” e di “accogliere benevolmente i forestieri”. “È un grande insegnamento di fede: i valori cristiani non possono essere testimoniati attraverso rigidità e chiusure, perché la verità di Cristo comporta mitezza e gentilezza, nello spirito delle Beatitudini”, commenta Francesco, condannando “una certa tendenza, giustificata talvolta in nome delle proprie tradizioni e persino della fede, a ripiegarsi su di sé”. Il Papa elogia la collaborazione tra Stato e Chiesa in Ungheria, ma da una parte esorta a “non prestarsi a una sorta di collateralismo con le logiche del potere”, dall’altra auspica “una sana laicità, che non scada nel laicismo diffuso”. E poi per affrontare il problema “sicuramente complesso” dell’accoglienza rivolge di nuovo lo sguardo all’Europa. “È pensando a Cristo presente in tanti fratelli e sorelle disperati che fuggono da conflitti, povertà e cambiamenti climatici, - dice - che occorre far fronte al problema senza scuse e indugi”. È tema “da affrontare insieme, comunitariamente, anche perché, nel contesto in cui viviamo, le conseguenze prima o poi si ripercuoteranno su tutti”. Perciò “è urgente, come Europa, lavorare a vie sicure e legali, a meccanismi condivisi di fronte a una sfida epocale che non si potrà arginare respingendo, ma va accolta per preparare un futuro che, se non sarà insieme, non sarà”. E “ciò chiama in prima linea chi segue Gesù e vuole imitare l’esempio dei testimoni del Vangelo”.
Nel pomeriggio, alle 17, il secondo appuntamento della giornata. L’incontro nella concattedrale di Santo Stefano con i vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i consacrati, le consacrate, i seminaristi e gli operatori pastorali.
In quattromila lo ascoltano dall'esterno della basilica. Più di mille, soprattutto sacerdoti, lo ascoltano dentro. Il Papa parla dopo aver ascoltato varie testimonianze. Numerose volte viene interrotto da applausi. Elogia la fede «granitica» degli ungheresi e li mette in guardia da non cadere nella mondanità, «il peggio» che può accadere a una comunità, una specie di «paganesimo soft».
Francesco afferma che ci sono due tentazioni da cui «sempre» dobbiamo guardarci come Chiesa: «Una lettura catastrofista della storia presente, che si nutre del disfattismo di chi ripete che tutto è perduto, che non ci sono più i valori di una volta, che non si sa dove andremo a finire». E poi il rischio «della lettura ingenua del proprio tempo, che invece si fonda sulla comodità del conformismo e ci fa credere che in fondo vada tutto bene, che il mondo ormai è cambiato e bisogna adeguarsi». Ma contro «il disfattismo catastrofico» e «il conformismo mondano» è il Vangelo a donarci «la grazia del discernimento per entrare nel nostro tempo con un atteggiamento accogliente, ma anche con uno spirito di profezia». Quindi, «con accoglienza aperta alla profezia».
Nel suo discorso osserva che anche in Ungheria, dove la tradizione di fede rimane «ben radicata», si assiste alla diffusione del secolarismo e a quanto lo accompagna: minaccia all’integrità e alla bellezza della famiglia, materialismo e edonismo. Di fronte a questa realtà, ammonisce il Pontefice, «la tentazione può essere quella di irrigidirsi, di chiudersi e assumere un atteggiamento da “combattenti”». Così non va, spiega. Infatti tali realtà «possono rappresentare delle opportunità per noi cristiani, perché stimolano la fede e l’approfondimento di alcuni temi, invitano a chiederci in che modo queste sfide possano entrare in dialogo con il Vangelo, a cercare vie, strumenti e linguaggi nuovi».
Per Francesco «c’è bisogno di avviare una riflessione ecclesiale – sinodale, da fare tutti insieme – per aggiornare la vita pastorale, senza accontentarsi di ripetere il passato». Il Papa invita a «non essere rigidi», ma ad «avere sguardi e approcci misericordiosi e compassionevoli». Ai sacerdoti in particolare chiede «uno sguardo misericordioso, un cuore compassionevole, che perdona sempre, sempre, che aiuta a ricominciare, che accoglie e non giudica, incoraggia e non critica, serve e non chiacchiera». Questo allena «a trasmettere la consolazione del Signore nelle situazioni di dolore e di povertà del mondo, stando vicini ai cristiani perseguitati, ai migranti che cercano ospitalità, alle persone di altre etnie, a chiunque si trovi nel bisogno».
Il Papa evoca la figura di San Martino: «il suo gesto di dividere il mantello con il povero è molto più che un’opera di carità: è l’immagine di Chiesa verso cui tendere, è ciò che la Chiesa di Ungheria può portare come profezia nel cuore dell’Europa: misericordia e prossimità».
Infine Francesco richiama alla memoria la figura del grande cardinale Mindszenty, il quale credeva «nella potenza della preghiera». Infatti «le risposte vengono dal Signore e non dal mondo, dal tabernacolo e non dal computer». E poi un ricordo personale: «Non posso dimenticare la testimonianza coraggiosa e paziente delle Suore ungheresi della Società di Gesù, che incontrai in Argentina dopo che avevano lasciato l’Ungheria durante la persecuzione religiosa. Erano donne di testimonianza. Mi hanno fatto tanto bene».
Il viaggio e il programma
Papa Francesco è partito da Roma con un vettore ITA Airways poco dopo le 8. Durante il volo ha, come di consueto, ringraziato e salutato uno ad uno i cronisti al seguito. Ad una giornalista polacca che gli ha chiesto cosa pensasse di chi accusa san Giovanni Paolo II di comportamenti impropri, ha risposto “hanno fatto una cretinata”. Al suo arrivo all’Aeroporto Internazionale Ferenc Liszt di Budapest Francesco è stato accolto dal Vice-Primo Ministro Zsolt Semjén. Due bambini in abito tradizionale gli hanno offerto il pane e il sale. Quindi, il trasferimento al Palazzo Sándor per la Cerimonia di Benvenuto, la visita di cortesia alla Presidente della Repubblica Katalin Novák e l’incontro con il Primo Ministro Viktor Orbán. Nell’ex Monastero Carmelitano, sede del premier, l’Incontro con le Autorità, la Società Civile e il Corpo Diplomatico.
Nel libro d’onore di Palazzo Sandor Francesco ha riassunto, in poche righe, il programma del suo viaggio. “Giungo come pellegrino e amico in Ungheria, Paese ricco di storia e di cultura; da Budapest, città dei ponti e dei santi, penso all’Europa intera e prego perché, unita e solidale, sia anche ai nostri giorni casa di pace e profezia di accoglienza”.