Papa

Discorso agli affari religiosi. «I capi religiosi denuncino violazione diritti»

venerdì 28 novembre 2014
​Signor Presidente, Autorità religiose e civili, Signore e Signori, è per me motivo di gioia incontrarvi oggi, nel corso della mia visita al vostro Paese. Ringrazio il Signor Presidente di questo importante Ufficio per il cordiale invito, che mi offre l’occasione di intrattenermi con leaders politici e religiosi, musulmani e cristiani.
È tradizione che i Papi, quando viaggiano in diversi Paesi come parte della loro missione, incontrino anche le autorità e le comunità di altre religioni. Senza questa apertura all’incontro e al dialogo, una visita papale non risponderebbe pienamente alle sue finalità, così come anch’io le intendo, nella scia dei miei venerati Predecessori. In questa prospettiva, sono lieto di ricordare in modo speciale l’incontro che il Papa Benedetto XVI ebbe, in questo medesimo luogo, nel novembre 2006.
Le buone relazioni e il dialogo tra leader religiosi rivestono infatti una grande importanza. Essi rappresentano un chiaro messaggio indirizzato alle rispettive comunità, per esprimere che il mutuo rispetto e l’amicizia sono possibili, nonostante le differenze. Tale amicizia, oltre ad essere un valore in sé, acquista speciale significato e ulteriore importanza in un tempi di crisi come il nostro, crisi che in alcune aree del mondo diventano veri drammi per intere popolazioni.
Vi sono infatti guerre che seminano vittime e distruzioni; tensioni e conflitti inter-etnici e interreligiosi; fame e povertà che affliggono centinaia di milioni di persone; danni all’ambiente naturale, all’aria, all’acqua, alla terra.
Veramente tragica è la situazione in Medio Oriente, specialmente in Iraq e Siria. Tutti soffrono le conseguenze dei conflitti e la situazione umanitaria è angosciante. Penso a tanti bambini, alle sofferenze di tante mamme, agli anziani, agli sfollati e ai rifugiati, alle violenze di ogni tipo. Particolare preoccupazione desta il fatto che, soprattutto a causa di un gruppo estremista e fondamentalista, intere comunità, specialmente – ma non solo – i cristiani e gli yazidi, hanno patito e tuttora soffrono violenze disumane a causa della loro identità etnica e religiosa. Sono stati cacciati con la forza dalle loro case, hanno dovuto abbandonare ogni cosa per salvare la propria vita e non rinnegare la fede. La violenza ha colpito anche edifici sacri, monumenti, simboli religiosi e il patrimonio culturale, quasi a voler cancellare ogni traccia, ogni memoria dell’altro.
In qualità di capi religiosi, abbiamo l’obbligo di denunciare tutte le violazioni della dignità e dei diritti umani. La vita umana, dono di Dio Creatore, possiede un carattere sacro. Pertanto, la violenza che cerca una giustificazione religiosa merita la più forte condanna, perché l’Onnipotente è Dio della vita e della pace. Da tutti coloro che sostengono di adorarlo, il mondo attende che siano uomini e donne di pace, capaci di vivere come fratelli e sorelle, nonostante le differenze etniche, religiose, culturali o ideologiche.
Alla denuncia occorre far seguire il comune lavoro per trovare adeguate soluzioni. Ciò richiede la collaborazione di tutte le parti: governi, leader politici e religiosi, rappresentanti della società civile, e tutti gli uomini e le donne di buona volontà. In particolare, i responsabili delle comunità religiose possono offrire il prezioso contributo dei  valori presenti nelle loro rispettive tradizioni. Noi, Musulmani e Cristiani, siamo depositari di inestimabili tesori spirituali, tra i quali riconosciamo elementi di comunanza, pur vissuti secondo le proprie tradizioni: l’adorazione di Dio misericordioso, il riferimento al patriarca Abramo, la preghiera, l’elemosina, il digiuno… elementi che, vissuti in maniera sincera, possono trasformare la vita e dare una base sicura alla dignità e alla fratellanza degli uomini. Riconoscere e sviluppare questa comunanza spirituale – attraverso il dialogo interreligioso – ci aiuta anche a promuovere e difendere nella società i valori morali, la pace e la libertà (cfr Giovanni Paolo II, Discorso alla Comunità cattolica di Ankara, 29 novembre 1979).
Il comune riconoscimento della sacralità della persona umana sostiene la comune compassione, la solidarietà e l’aiuto fattivo nei confronti dei più sofferenti. A questo proposito, vorrei esprimere il mio apprezzamento per quanto tutto il popolo turco, i musulmani e i cristiani, stanno facendo verso le centinaia di migliaia di persone che fuggono dai loro Paesi a causa dei conflitti. E’ questo un esempio concreto di come lavorare insieme per servire gli altri, un esempio da incoraggiare e sostenere.
Con soddisfazione ho appreso delle buone relazioni e della collaborazione tra il Diyanet e il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Auspico che esse proseguano e si consolidino, per il bene di tutti, perché ogni iniziativa di dialogo autentico è segno di speranza per un mondo che ha tanto bisogno di pace, sicurezza e prosperità. E anche dopo il dialogo con il signor presidente, auguro che questo dialogo divenga creativo di nuove forme.
Signor Presidente, esprimo nuovamente la mia riconoscenza a Lei e ai Suoi collaboratori per questo incontro, che ricolma il mio cuore di gioia. Sono grato inoltre a tutti voi, per la vostra presenza e per le vostre preghiere che avrete la bontà di offrire per il mio servizio. Da parte mia, vi assicuro che pregherò altrettanto per voi. Il Signore ci benedica tutti.