Associazione internazionale di Diritto penale . Fare giustizia non è punire ma riabilitare
Tre modelli biblici – Il Buon samaritano, il Buon ladrone e il Buon Pastore – per penetrare fin nelle pieghe del diritto a comprendere che amministrare la giustizia è più che mettere le mani sul colpevole ed emettere contro di lui una sentenza, se tale giustizia non dà spazio e precedenza alle vittime perché essa è prima di tutto rispetto per “la dignità” e i “diritti della persona umana, senza discriminazioni e con le debite tutele verso le minoranze”.
Papa Francesco si addentra con precisione e la consueta chiarezza nel regno dei codici, che rischiano di far rispettare la lettera e la ratio della legge dimenticando l’anima. Tre gli elementi sui quali concentra l’attenzione: la “soddisfazione o riparazione del danno provocato”, la “confessione, con cui – dice – l'uomo esprime la sua conversione interiore”, e la “contrizione” che lo porta a incontrare “l’amore misericordioso e guaritore di Dio”.
Al suo popolo, ricorda, il Signore “ha insegnato poco a poco” che “esiste una asimmetria necessaria tra delitto e castigo, per cui a un occhio o a un dente rotto non si rimedia rompendone un altro. Si tratta di rendere giustizia alla vittima, non di giustiziare l'aggressore”. Un “buon modello” di ciò, afferma, lo si ravvisa nel comportamento del Buon Samaritano che prima di mettere il colpevole di fronte alle conseguenze del suo atto, si china su “chi è stato ferito lungo la strada e si prende cura dei suoi bisogni”.
Una sensibilità poco presente nella nostra società, nella quale – osserva Papa Francesco – “si tende a pensare che i crimini siano risolti quando si cattura e condanna l'autore del reato, tralasciando il danno commesso o senza prestare sufficiente attenzione alla situazione in cui versano le vittime. Ma sarebbe un errore – asserisce – identificare la riparazione solo con la punizione, confondere la giustizia con la vendetta, che aumenterebbe solo la violenza, anche se è istituzionalizzata”. E del resto, soggiunge, aumentare o inasprire le pene non è che risolva i problemi sociali, “né porta a una diminuzione dei tassi di criminalità”, senza contare le ricadute sociali come le carceri sovraffollate o i prigionieri detenuti senza processo... “In quante occasioni – è la considerazione di Papa Francesco – si è visto il reo espiare la pena oggettivamente, scontando la propria condanna ma senza cambiare interiormente né sanare le ferite del suo cuore”.
Il Papa si appella ai media perché, nel “loro legittimo esercizio della libertà di stampa”, siano scrupolosi nell’“informare correttamente e non creare allarme o panico sociale quando si hanno notizie di fatti criminali”. Sono in gioco, scandisce, “la vita e la dignità delle persone, che non possono trasformarsi in casi clamorosi, spesso anche morbosi, che condannano i presunti colpevoli al discredito sociale prima di essere stati giudicati o costringono le vittime, mirando al sensazionalismo, a rivivere pubblicamente il dolore patito”.
Sull’aspetto della confessione, Papa Francesco sostiene che “se l'autore del reato non è sufficientemente aiutato, non gli si offre l'occasione perché possa convertirsi e finisce per essere una vittima del sistema”. “È necessario fare giustizia – ripete – ma la giustizia vera non si accontenta di punire solo i colpevoli”. Si deve fare “tutto il possibile per correggere, migliorare ed educare l'uomo a maturare in tutte le sue forme, perché non si scoraggi, faccia fronte al danno causato e riesca a rilanciare la sua vita senza essere schiacciato dal peso delle sue miserie”.
In questo caso, il modello biblico della confessione è il Buon ladrone, al quale “Gesù promette il Paradiso, perché fu capace di riconoscere la sua colpa”, rammenta Papa Francesco, che poi constata come “non di rado” il reato sia “radicato nelle disuguaglianze economiche e sociali, nelle reti di corruzione e del crimine organizzato”, che cerca i propri complici “tra i più forti” e le proprie vittime “tra i più vulnerabili”. “Non basta avere leggi giuste” per combattere un tale “flagello”, ravvisa il Papa, ma “è necessario formare persone responsabili e capaci di attuarle”.
Terzo aspetto, la “contrizione”, definita da Papa Francesco, “la porta del pentimento” e la “via privilegiata che conduce al cuore di Dio, che ci accoglie e ci offre un'altra possibilità, se ci apriamo alla verità della penitenza e ci lasciamo trasformare dalla sua misericordia”. Qui l’esempio è dato dal Buon Pastore, che va in cerca della pecora perduta. Quando si riferisce al Padre che fa piovere sui giusti e sugli ingiusti, Gesù – indica il Papa, “invita i suoi discepoli a essere misericordiosi, a fare del bene a coloro che fanno del male, a pregare per i nemici, a porgere l'altra guancia, non a serbare rancore”... In questo modo, “l'atteggiamento di Dio che anticipa l'uomo peccatore offrendogli il perdono”, si presenta “come una giustizia superiore, allo stesso tempo leale e compassionevole, senza alcuna contraddizione tra questi due aspetti”. Il perdono – sottolinea Papa Francesco, “non elimina né diminuisce la necessità di correzione, propria della giustizia, né prescinde dalla necessità della conversione personale, ma va oltre, cercando di restaurare le relazioni e reintegrare le persone nella società”.
Non si tratta allora di trovare mezzi in grado di “sopprimere, scoraggiare e isolare” gli autori del male, ma che li aiutino a “camminare per i sentieri del bene” ed è per questo, nota ancora Papa Francesco, che la Chiesa invoca una “giustizia che sia umanizzante” e “realmente capace di riconciliare”.
Tutto questo, conclude il Papa, si condensa in “una sfida da raccogliere”, perché non cada nel dimenticatoio”. Perché ci siano misure che consentano al perdono di “rimanere non solo nella sfera privata”, ma di raggiungere “una vera dimensione politica e istituzionale”, creando “relazioni di armoniosa convivenza”.