Papa

Omelia. Junipero Serra: testimone di una Chiesa in uscita

giovedì 24 settembre 2015
​«Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti» (Fil 4,4). Un invito che colpisce fortemente la nostra vita. Siate lieti, ci dice san Paolo, con una forza quasi imperativa. Un invito che si fa eco del desiderio che tutti sperimentiamo di una vita piena, di una vita che abbia senso, di una vita gioiosa. E’ come se Paolo avesse la capacità di ascoltare ciascuno dei nostri cuori e desse voce a quello che sentiamo, che viviamo. C’è qualcosa dentro di noi che ci invita alla gioia e a non adattarci a palliativi che cercano sempre di accontentarci.
Ma, a nostra volta, viviamo le tensioni della vita quotidiana. Sono molte le situazioni che sembrano mettere in dubbio questo invito. La dinamica a cui molte volte siamo soggetti  sembra portarci ad una rassegnazione triste che a poco a poco si va trasformando in abitudine, con una conseguenza letale: anestetizzarci il cuore.
Non vogliamo che la rassegnazione sia il motore della nostra vita – o lo vogliamo? Non vogliamo che l’abitudine si impossessi delle nostre giornate – o sì? Per questo possiamo domandarci: come fare perché non si anestetizzi il nostro cuore? Come approfondire la gioia del Vangelo nelle diverse situazioni della nostra vita?
Gesù lo ha detto ai discepoli di allora e lo dice a noi: Andate! Annunciate! La gioia del Vangelo si sperimenta, si conosce e si vive solo donandola, donandosi.
Lo spirito del mondo ci invita al conformismo, alla comodità. Di fronte a questo spirito umano «occorre sentire nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo» (Enc. Laudato si’, 229). La responsabilità di annunciare il messaggio di Gesù. Perché la fonte della nostra gioia sta in quel «desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 24). Andate da tutti ad annunciare ungendo e ad ungere annunciando. A questo il Signore ci invita oggi e ci dice:
la gioia il cristiano la sperimenta nella missione: andate alle genti di tutte le nazioni;
la gioia il cristiano la trova in un invito: andate e annunciate;
la gioia il cristiano la rinnova e la attualizza con una chiamata: andate e ungete.
Gesù vi manda a tutte le nazioni. A tutte le genti. E in questo “tutti” di duemila anni fa eravamo compresi anche noi. Gesù non dà una lista selettiva di chi sì e chi no, di quelli che sono degni o no di ricevere il suo messaggio, la sua presenza. Al contrario, ha abbracciato sempre la vita così come gli si presentava. Con volto di dolore, fame, malattia, peccato. Con volto di ferite, di sete, di stanchezza. Con volto di dubbi e di pietà. Lungi dall’aspettare una vita imbellettata, decorata, truccata, l’ha abbracciata come gli veniva incontro. Benché fosse una vita che molte volte si presenta rovinata, sporca, distrutta. A tutti, ha detto Gesù, a tutti andate e annunciate; a tutta questa vita così com’è e non come ci piacerebbe che fosse: Andate e abbracciate nel mio nome. Andate agli incroci delle strade, andate… ad annunciare senza paura, senza pregiudizi, senza superiorità, senza purismi a tutti quelli che hanno perso la gioia di vivere, andate ad annunciare l’abbraccio misericordioso del Padre. Andate da quelli che vivono con il peso del dolore, del fallimento, del sentire una vita spezzata e annunciate la follia di un Padre che cerca di ungerli con l’olio della speranza, della salvezza. Andate ad annunciare che gli sbagli, le illusioni ingannevoli, le incomprensioni, non hanno l’ultima parola nella vita di una persona. Andate con l’olio che lenisce le ferite e ristora il cuore.
La missione non nasce mai da un progetto perfettamente elaborato o da un manuale molto ben strutturato e programmato; la missione nasce sempre da una vita che si è sentita cercata e guarita, trovata e perdonata. La missione nasce dal fare esperienza una e più volte dell’unzione misericordiosa di Dio.
La Chiesa, il Popolo Santo di Dio, sa percorrere le strade polverose della storia attraversate tante volte da conflitti, ingiustizie e violenza per andare a trovare i suoi figli e fratelli. Il Santo Popolo fedele di Dio non teme lo sbaglio; teme la chiusura, la cristallizzazione in élite, l’attaccarsi alle proprie sicurezze. Sa che la chiusura, nelle sue molteplici forme, è la causa di tante rassegnazioni.
Per questo, usciamo, andiamo ad offrire a tutti la vita di Gesù Cristo (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 49). Il Popolo di Dio sa coinvolgersi perché è discepolo di Colui che si è messo in ginocchio davanti ai suoi per lavare loro i piedi (cfr ibid., 24).
Oggi siamo qui, possiamo essere qui perché ci sono stati molti che hanno avuto il coraggio di rispondere a questa chiamata, molti che hanno creduto che «la vita si accresce donandola e si indebolisce nell’isolamento e nella comodità» (Documento di Aparecida, 360). Siamo figli dell’audacia missionaria di tanti che hanno preferito non rinchiudersi «nelle strutture che danno una falsa protezione […] nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è una moltitudine affamata» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 49). Siamo debitori di una Tradizione, di una catena di testimoni che hanno reso possibile che la Buona Novella del Vangelo continui ad essere di generazione in generazione Nuova e Buona.
Ed oggi ricordiamo uno di quei testimoni che ha saputo testimoniare in queste terre la gioia del Vangelo: Padre Junipero Serra. Ha saputo vivere quello che è “la Chiesa in uscita”, questa Chiesa che sa uscire e andare per le strade, per condividere la tenerezza riconciliatrice di Dio. Ha saputo lasciare la sua terra, le sue usanze, ha avuto il coraggio di aprire vie, ha saputo andare incontro a tanti imparando a rispettare le loro usanze e le loro caratteristiche.
Ha imparato a generare e ad accompagnare la vita di Dio nei volti di coloro che incontrava rendendoli suoi fratelli. Junipero ha cercato di difendere la dignità della comunità nativa, proteggendola da quanti ne avevano abusato. Abusi che oggi continuano a procurarci dispiacere, specialmente per il dolore che provocano nella vita di tante persone.
Scelse un motto che ispirò i suoi passi e plasmò la sua vita: seppe dire, ma soprattutto seppe vivere dicendo: “Sempre avanti”. Questo è stato il modo che Junipero ha trovato per vivere la gioia del Vangelo, perché non si anestetizzasse il suo cuore. E’ stato sempre avanti, perché il Signore aspetta; sempre avanti, perché il fratello aspetta; sempre avanti per tutto ciò che ancora gli rimaneva da vivere; è stato sempre avanti. Come lui allora, che noi oggi possiamo dire: sempre avanti.