Opinioni

Approfondimento. Zika e nuovi virus: perché dobbiamo conviverci

Vittorio A. Sironi giovedì 4 febbraio 2016
Allarme per il virus Zika. «È un’emergenza sanitaria mondiale, una minaccia allarmante» hanno affermato pochi giorni fa gli esperti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, sottolineando la sua diffusione esplosiva in questi ultimi mesi. Il virus non causa una malattia letale e il quadro clinico non è grave. I sintomi sono simili a quelli di una semplice influenza: febbre, mal di testa, dolori articolari e muscolari, eruzioni cutanee, congiuntivite e astenia che si risolvono nel giro di qualche giorno. La sua pericolosità è legata alla relazione 'fortemente sospetta' (un eufemismo in medicina per dire che è praticamente certa) tra l’infezione contratta in gravidanza e la microcefalia, una rara ma gravissima malformazione neurologica del nascituro causata da un anormale processo di crescita del cervello che non riesce a svilupparsi adeguatamente perché impedito da una teca cranica la cui circonferenza è notevolmente più piccola della norma. I primi casi sono stati registrati in Brasile nel maggio del 2015, ma solo in ottobre un anomalo incremento di neonati con microcefalia ha fornito l’esatta dimensione della vastità del fenomeno infettivo. È possibile che l’infezione provocata da questo virus possa essere responsabile anche di un’altra grave malattia neurologica, la sindrome di Guillain-Barré, che altera la trasmissione nervosa provocando una paralisi progressiva degli arti - in alcuni casi fortunatamente reversibile -, ma che può essere letale se coinvolge la muscolatura respiratoria. Un insolito aumento della frequenza di questa rara patologia è stato osservato lo scorso anno in Brasile, in Colombia e nel Venezuela. Il virus, identificato per la prima volta in Uganda nella foresta di Zika (da qui il suo nome), nel 1947 nelle scimmie e nel 1952 nell’uomo, si è rapidamente diffuso in Africa, in America Latina e in Asia grazie alle sue modalità di propagazione. Si trasmette attraverso la puntura di una zanzara, l’Aedes aegypti (parente stretta della nostra 'zanzara tigre'), la stessa che può causare patologie ben più insidiose, come la febbre gialla e la febbre dengue. Il virus, presente nel sangue dei malati, passa da una persona all’altra utilizzando la zanzara come vettore. La trasmissione può avvenire anche direttamente per via sessuale, se il patner è contagiato. Per l’infezione da Zika non esiste una terapia specifica: il decorso benigno della malattia consente di favorirne il processo di guarigione attraverso il riposo, con l’uso di antipiretici (paracetamolo) e di un’adeguata assunzione di liquidi. Il rischio medico riguarda le donne incinte, che devono adottare adeguate misure di protezione se vivono nelle zone epidemiche o evitare di recarsi nei paesi dove vi è il rischio di ammalarsi. Attualmente non esiste e non è allo studio un vaccino specifico per questa infezione, ma una prospettiva futura per combattere efficacemente le zanzare vettrici, che inoculando nell’uomo il virus trasmettendo l’infezione, è legata all’impiego di zanzare geneticamente modificate, portatrici di un gene in grado di uccidere la propria prole prima che raggiunga l’età adulta. Una 'bomba biologica' che porta all’estinzione della specie patogena. L'allarme relativo all’emergenza Zika è l’ultimo in ordine di tempo tra quelli lanciati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per le malattie infettive ad andamento epidemico in questi decenni. Oltre quaranta dal 1970 ad oggi, praticamente uno all’anno: dall’Aids (causata dal virus HIV) alla malattia della 'mucca pazza' o encefalopatia spongiforme bovina (sostenuta da particelle virali dette prioni) negli anni Ottanta, dalla Sars (severe acute respiratory syndrome) nel 2002, dalla febbre emorragica di Marburg, tra il 1998 e il 2004, all’influenza aviaria nel 2003, dall’epidemia di Ebola nel 2014 all’attuale infezione di Zika, per citare solo le più rilevanti e recenti. In un mondo ormai globalizzato come il nostro, in cui spostarsi in aereo da un continente all’altro è questione di poche ore, anche un piccolo focolaio epidemico in qualche remoto angolo della terra può rapidamente diventare una minaccia mondiale. Preoccupa non solo la comparsa di virus sconosciuti, ma anche il ritorno di malattie che sembravano ormai sconfitte: malaria, tubercolosi, colera. L’avvento dell’era antimicrobica, con l’introduzione massiccia degli antibiotici nel secondo dopoguerra e l’uso degli antivirali sul finire del secolo scorso, aveva creato l’illusione di poter risolvere definitivamente il problema delle infezioni. Era una convinzione errata. Pensare che non vi saranno più malattie infettive è un’ingenuità epidemiologica. La medicina evoluzionistica aiuta a interpretare questa realtà. Le regole della selezione naturale, che spiegano come la variabilità genetica può creare un vantaggio a favore delle specie che meglio si adattano alle nuove condizioni di vita, rendono ragione dell’insorgenza della resistenza batterica, cioè della comparsa di germi mutanti che diventano insensibili agli antibiotici. È questo fenomeno che favorisce il ritorno di infezioni considerate ormai debellate. La selezione naturale agisce in ambito microscopico con gli stessi meccanismi del livello macroscopico: le specie emergenti prevalgono su quelle soccombenti, come è avvenuto nel corso dell’evoluzione per i mammiferi, che hanno preso il sopravvento quando sono scomparsi i dinosauri. Ecco la ragione per cui le 'classiche' infezioni batteriche sono state affiancate e gradualmente sostituite da patologie sostenute da virus sconosciuti. Eliminati i batteri con l’uso sistematico degli antibiotici, nuovi agenti infettivi (Dna-virus e Rna-virus) che prima non erano in grado di competere con i germi nel provocare epidemie, occupata la 'nicchia ecologica' lasciata libera da questi ultimi, hanno iniziato a essere essi stessi causa di infezioni. Retrovirus (Aids), coronavirus (Sars), myxovirus (influenza aviaria), ebolavirus (infezione di Ebola) sono i nuovi nemici da debellare. Attraverso un’azione internazionale congiunta e una rete medica globale. Nessun paese da solo, per quanto economicamente ricco, scientificamente dotato e tecnologicamente avanzato, può pensare oggi di prevenire e rispondere singolarmente a tutte le minacce alla salute pubblica. Una cooperazione internazionale è indispensabile per realizzare un’efficace politica sanitaria mondiale. Pensare però di eliminare definitivamente le malattie infettive dalla faccia della terra è utopico dal punto di vista storico e insensato sul piano scientifico. Cambiano e cambieranno gli agenti infettivi, ma noi dobbiamo imparare a convivere con le infezioni, adesso e in futuro, come in realtà è sempre accaduto nella storia dell’umanità. Rispetto al passato oggi però abbiamo grandi vantaggi: sappiamo riconoscere rapidamente i nuovi organismi infettivi e siamo in grado di difenderci meglio, contenendo la diffusione epidemica della malattia (attraverso rigide norme igieniche e anche grazie alla possibile realizzazione di nuovi vaccini), curando in modo più efficace i sintomi e realizzando - ove possibile - anche terapie farmacologiche e biologiche atte a eliminare l’agente infettivo. Una prospettiva che rende meno temibile l’idea che dalle infezioni non ci libereremo mai completamente.