Analisi. Xylella e le sue molte «sorelle». L'invasione dei parassiti alieni
All’inizio fu la Xylella. Ma anche no, perché la storia delle invasioni aliene in agricoltura è ben più antica e dimenticata. Basti pensare alla diffusione dell’oidio nei vigneti, fronteggiata dal conte di Cavour con lo zolfo. Oggi solo gli addetti ai lavori ne conoscono l’esistenza, eppure a metà Ottocento quel fungo rischiò di sterminare l’intera viticoltura piemontese. Anche quella «muffa particolare dal carattere più pernicioso» – così la descrivevano i botanici nel 1847 – arrivava dalle lontane Americhe, esattamente come la farfallina individuata in Africa dagli scienziati del Cabi (Centro internazionale per l’agricoltura e le bioscienze) che sta devastando i raccolti di mais. Apparentemente, la larva di lafigma ( Spodoptera frugiperda) è solo un bruco, ma ha la capacità di scavare nella pannocchia in formazione e distruggere la pianta.
Secondo gli scienziati, se non si fa nulla, si diffonderà nell’habitat africano in pochi anni, passando quindi in Asia e risalendo il Mediterraneo. Non accadde diversamente per l’oidio, per la peronospora e la filossera, che stroncarono i raccolti d’uva per quasi un secolo; tuttavia, grazie al traffico aereo, le specie 'aliene' oggi viaggiano molto più rapidamente di duecento anni fa, ragion per cui le preoccupazioni degli agronomi appaiono più che giustificate. Il consumatore medio conosce solo la Xylella e, se va bene, la mosca dell’olivo, la quale, peraltro, è uno dei pochi 'alieni' che abbiamo esportato noi europei in America e non viceversa. Per il resto, questo genere di invasioni resta una sfida scientifica ed economica di cui si percepisce l’importanza solo quando è talmente persa che i raccolti sono pesantemente compromessi e i prezzi dei prodotti agricoli si alzano prepotentemente.
Se è pur vero che la Coldiretti stima in un miliardo di euro il danno inferto alle produzioni nazionali dalle infestazioni di cimici cinesi e punteruoli rossi, nessuno è in grado di prevedere esattamente i tempi con cui si muovono le popolazioni di parassiti. Ve ne sono alcuni che apparentemente restano in un’area circoscritta per anni e altri che 'esplodono' rapidamente e altrettanto rapidamente recedono. Spesso, poi, la loro 'pericolosità' e le strategie poste in essere per contenere quest’avanzata sono relative: se le colture colpite costituiscono una voce importante del Prodotto interno lordo, com’è stato per la Xylella, la lotta al parassita può trasformarsi in un’emergenza nazionale e comunitaria, diversamente rischia di essere sottovalutata per anni. Prendiamo la Popillia japonica, un coleottero originario del Giappone ma presente in alcuni altri Paesi, tra cui gli Stati Uniti, dove causa ingenti danni. Poiché viene combattuto con pesanti trattamenti insetticidi i tempi di reazione dell’Europa di fronte a quest’emergenza sono stati piuttosto lunghi, perché le contromisure classiche cozzavano con le politiche ambientali dell’Unione. Oggi l’insetto è diffuso, dall’estate del 2014, nel Parco del Ticino tra Lombardia e Piemonte: la normativa fitosanitaria lo considera un organismo nocivo da quarantena, ma se ne parla poco, al di fuori del mondo agricolo, perché, diversamente dalla cimice marmorata asiatica, non attacca specificamente la frutticoltura e l’orticoltura, cioè i gioielli dell’agricoltura nostrana.
La Popillia, al contrario, infesta i prati e solo allo stadio adulto attacca piante spontanee, senza guardar troppo per il sottile. Solo recentemente è stata provata la sua pericolosità per le grandi coltivazioni padane di mais, soia e vite. I funzionari delle Regioni coinvolte – Piemonte e Lombardia – definiscono «frenetico il lavoro dei tecnici del Servizio fitosanitario». Qualcuno ha cercato di avviare la lotta biologica ma secondo gli esperti gli imenotteri e i ditteri che sono antagonisti naturali di quest’insetto «non si sono ancora accorti della presenza della Popillia», poiché aggrediscono la popolazione aliena solo quando quest’ultima si stabilizza in un territorio. Eppure la Popillia rischia di fare molto male all’agricoltura italiana e sicuramente contrastarne la diffusione costa parecchio: negli Usa, secondo il Dipartimento dell’Agricoltura, per gli interventi di controllo si spendono più di 460 milioni di dollari all’anno. L’Europa ricorre a controlli preventivi sulle importazioni (circa 7.000 partite di piante, prodotti ortofrutticoli e materiali di imballaggio in legno, delle quali il 95 per cento provenienti da Paesi extracomunitari, non rispettano le normative fitosanitarie e in circa un terzo dei casi vengono trovati insetti, funghi, batteri o virus...), eppure ciò non basta.
Lo scorso anno, ad esempio, sono stati trovati nelle risaie tra Vercelli e Biella dei nematodi galligeni appartenenti alla specie Meloidogyne graminicola ed è scattato l’allarme rosso. Si tratta di un parassita vermiforme che penetra nell’apparato radicale impedendo l’assorbimento di acqua e nutrienti da parte delle radici: la piantina di riso cresce poco e male, e si comprende che la causa è questo particolare nematode in quanto alle sue radici si formano delle caratteristiche 'galle', cioè delle escrescenze. I terreni infestati da questo parassita, che è diffuso da tempo in altre aree del pianeta ma in Italia non si era mai presentato, sono stati 'congelati', ossia non vi si produrrà più riso e saranno utilizzati solo per condurre delle sperimentazioni con cui si spera di annientare il verme, che si propaga attraverso la terra, dove depone le uova.
Naturalmente il fatto che un parassita attacchi solo le piante e non insidi la catena alimentare può portare l’opinione pubblica a sottovalutare un’emergenza che, come dimostra il caso sottolineato dal Cabi, è tutt’altro che secondaria. La diffusione del bruco americano in Ghana, infatti, è considerata già adesso una grave minaccia per il commercio agricolo in tutto il mondo, innanzi tutto in quanto colpisce il mais, che è uno dei cereali più importanti, ma anche altre cento specie di piante, come riso e canna da zucchero, cavoli, barbabietole, arachidi, soia, erba medica, cipolla, cotone, erbe di pascolo, miglio, pomodoro, patate e cotone... Dove si appalesa porta la miseria: partito dal Ghana, il parassita americano è già stato segnalato in Nigeria, Togo e Benin, forse in Malawi.