Al via il Congresso del Pcc. Xi Jinping e la sfida cinese di pianificare la prosperità
Il 19° Congresso del Partito comunista cinese (Pcc) che dal 18 ottobre vedrà nella storica sede della Grande sala del Popolo riuniti 2.287 rappresentanti degli 80 milioni di iscritti, è previsto lascerà un segno ancora più marcato del solito sul futuro della Cina. Al centro, le proposte e le ambizioni del segretario Xi Jinping, al 'giro di boa' del suo mandato che non è escluso possa eccezionalmente protrarsi oltre il prossimo quinquennio. In questo senso sarà importante verificare la convergenza sulle sue proposte in un partito tutt’altro che monolitico, con correnti che rispecchiano provenienza, preparazione, interessi e età diverse. Abitualmente, il candidato alla segreteria del partito successivo a quella in carica viene designato dal segretario precedente, in questo caso Hu Jintao, ma ovviamente dovrà garantirsi l’appoggio necessario, tutt’altro che scontato. Anche in quest’ottica, il 'Sogno cinese' propiziato da Xi con meta in una 'società moderatamente prospera' sarà analizzato e discusso, accogliendo eventuali aggiustamenti.
Primaria sarà quindi la definizione della nuova leadership. Senza voto e a porte chiuse, secondo la prassi, saranno sostituiti cinque dei sette membri dell’onnipotente Comitato permanente dell’Ufficio politico (politburo) e della metà dei 18 membri dello stesso Ufficio. Teoricamente, sia il segretario Xi Jinping, capo del Comitato permanente e Presidente della Repubblica (oltre che detentore di una decina di altre essenziali cariche civili e militari), sia il primo ministro Li Keqiang potrebbero essere tra gli 'immortali' uscenti, dato che il regolamento del Partito prevede un solo mandato quinquennale, ma nessuno dubita che ne porteranno a termine un secondo fino al 2022. Anche perché, a parte Xi e Li, nessuno degli altri membri ha meno dei 68 anni che sono il limite per il pensionamento. In questo caso, però, un’eccezione potrebbe essere fatta per Wang Qishan, a capo della Commissione anti-corruzione del Partito che, data la centralità data da Xi a questo impegno, è di fatto oggi suo braccio destro. Un incarico rinnovato al 68enne Wang consoliderebbe la presa di Xi Jinping sul Paese, proseguendo l’impegno nella lotta al malaffare interno al Pcc o da esso incentivato.
Tutt’altro che un dettaglio, dato che il rapporto della Commissione centrale per le ispezioni disciplinari diffuso l’8 ottobre cita ben 1,34 milioni di casi di corruzione di funzionari di basso livello che sono stati puniti dal 2013. Di questi, 648mila a livello di villaggio. Un dato che potrebbe portare a vedere una maggiore pressione sulle autorità ai livelli inferiori ('mosche', secondo la denominazione ufficiale), ma la stretta contro la corruzione ha travolto anche diverse figure di rilievo ('tigri'). Tra queste, ampiamente pubblicizzate nella loro caduta in disgrazia, il direttore del comitato anti-corruzione del ministero delle Finanze a agosto e il mese successivo un ufficiale membro della potentissima Commissione militare centrale che il presidente Xi controlla direttamente. A far comprendere che certi fenomeni sono tutt’altro che estranei al Partito comunista, l’informazione che 155mila uffici e a livello di contea (il 94 per cento del totale) hanno iniziato a applicare dalla scorsa estate strategie di controllo interno.
Mai come nell’ultimo quinquennio il Partito egemone ha vissuto il paradosso di una leadership che propugna la democrazia interna ma accentra un potere inedito nell’ultimo quarantennio. Dovendo, nel contempo, tracciare nuove mappe di benessere e sviluppo per l’immenso Paese estremo-orientale che affronta una situazione che non può più essere ignorata o sottaciuta. Nessuno può negare che sotto Xi Jinping il Paese si sia modernizzato, rafforzato e abbia trovato un ruolo centrale nel contesto globale. Sotto la sua leadership sono stati finalmente affrontati con coraggio almeno equivalente a tecnologia e capitali profusi le problematiche ambientali, l’adeguamento delle infrastrutture, l’estensione del welfare, il ridimensionamento del sistema produttivo, il contrasto al malaffare endemico, il taglio drastico di benefici e attribuzioni ai quadri di partito e dell’amministrazione come pure ai loro vertici. Le forze armate sono state portate in pieno sotto il controllo della leadership di Partito, togliendo loro, insieme a parte dell’organico, anche quanto restava degli apparati produttivi e economici che ne avevano fatto una struttura autoreferenziale e sovente in contrasto con il potere civile. Il sistema bancario e finanziario ha avviato una ristrutturazione che mira a dare regole chiare e di standard internazionale ma anche a portare allo scoperto e ridimensionare una finanza parallela che ha contribuito, tra l’altro, alla fuga di capitali all’estero per 1.200 miliardi di dollari dall’agosto 2015 solo in parte rientrati nelgi ultimi mesi. Per ora, il risparmio dei cittadini, equivalenti a un quarto del Pil, continua a fare da traino a un Paese che vuole passare da una economia guidata dall’export a una sostenuta dai consumi, ma l’immenso debito pubblico e ancor più quello delle imprese – congiunti, attorno al 220 per cento della ricchezza prodotta annualmente – sono una zavorra insostenibile. Contraddizioni che si vogliono ridurre, altre che si presentano o sviluppano. Come la crescita esponenziale dell’ecommerce, che vale 4.000 miliardi di dollari l’anno in una realtà in cui informazione e comunicazione attraverso Internet sono fortemente controllate, represse e sanzionate.
La Cina di oggi è un immenso crogiolo di idee, intenzioni e tecnologie. Una realtà difficile da gestire e da indirizzare e che per questo gode di margini di iniziativa e innovatività, mantenendo però inalterato un nucleo repressivo. L’esperienza sovietica – la sua eccessiva rigidità che alla fine l’ha resa fragile – è al centro dell’elaborazione politica e ideologica dell’ultimo trentennio, con l’obiettivo di evitare a ogni costo il crollo del sistema. Per tutto questo i cinesi e ovviamente la comunità internazionale guarderanno dal 18 e per una settimana a Piazza Tienanmen, dove la repressione del movimento studentesco della primavera 1989 è sempre più memoria e sempre meno storia. Da Tienanmen, però, si guarderà anche fuori dai confini. La situazione nel Mar cinese meridionale e in quello orientale, come pure le tensioni coreane che rischiano un’estensione e una deflagrazione anche nucleare, stimolano un ruolo essenziale e responsabile dei vertici del partito che dal 1949 indirizza la Repubblica popolare fondata da Mao. Ma in quale direzione prioritaria: economica, diplomatica o militare?