Da ieri promettere e accettare voti elettorali con metodi mafiosi è un reato, anche se in cambio di "utilità" differenti dal denaro. Bene, penseranno tutti i cittadini onesti, che siano candidati o elettori. Bene, pensiamo noi, anche se ogni nuova norma penale non è di per sé una buona notizia. È invece la spia di un allarme. Significa che la legislazione di base (dove sono già previsti il voto di scambio ordinario, la corruzione, la concussione, l’associazione per delinquere eccetera) non è in grado di garantire integralmente la legalità. In questo caso significa che il circuito della democrazia è ad alto rischio inquinamento. Lo raccontano le cronache e purtroppo, non di rado, lo confermano le sentenze.Diciamolo con amara franchezza: in altri Paesi il reato di "scambio elettorale politico-mafioso" non sarebbe stato nemmeno pensato. Ma poiché, oltre ad aver dato i natali a Giovanni XXIII, Michelangelo, Enzo Ferrari e altri illustri italiani, siamo pure la patria di Michele Greco, di Totò Riina e di tanti politicanti disposti a pagare per una poltrona anche i prezzi più terribili e maleodoranti, qui da noi è stato necessario perfino aggiornare la fattispecie in questione. Le condanne previste per i colpevoli – è stato obiettato da diverse voci autorevoli – sono state abbassate rispetto alla precedente versione dell’articolo 416-ter, ma ci permettiamo di rilevare che il problema centrale resta quello della certezza del diritto e della pena. Da 4 a 10 anni, se effettivamente scontati in carcere o in altro regime detentivo, non sono pochi. Il discorso, piuttosto, si complica quando si è costretti a constatare che la realtà è sempre più articolata di qualsivoglia codice penale e non può essere recintata a colpi di commi, di "bis", di "ter", di "quater" e così via. Sappiamo infatti che le mafie non sono più quelle di una volta, coppola e lupara: fanno studiare i loro figli in università prestigiose, perfino all’estero, in modo da poterli inserire nei piani alti della società, in posti chiave.Gente così, se si candida alle elezioni, non ha bisogno di promettere o minacciare alcunché per raccogliere voti. Spetta ai partiti vigilare e lasciarla fuori.