Il caso Bari. Voti comprati, ombre di declino tra preferenze e listini bloccati
L’incredibile nuova puntata del voto di scambio con epicentro nel Barese, che vede schede elettorali “comprate” – pare, stando alle prime carte dell’indagine – per la modica cifra di 50 euro, riporta d’attualità un tema connesso e mai sparito dai primi piani della politica: come disciplinare i consensi degli elettori nelle competizioni elettorali, ai vari livelli. E dimostra ancora una volta una realtà semplice: non esiste, di per sé, un sistema che sia migliore e preferibile rispetto agli altri
Sul piano nazionale è criticato ormai ampiamente il sistema giornalisticamente chiamato “Rosatellum”, introdotto nel 2017, che ha una formula mista, con una quota uninominale e una proporzionale (che assegna la maggior parte dei seggi parlamentari) basata sul meccanismo dei “listini bloccati”, escludendo le preferenze. Da più parti, negli anni, si invoca appunto il ripristino ai vari livelli elettorali delle preferenze, argomentando che sarebbe l’unico mezzo – davanti alla presa d’atto del crollo dell’affluenza alle urne (fenomeno, peraltro, non solo italiano) – per ricreare un corretto rapporto fra i cittadini e i loro rappresentanti diretti e per rimotivare i primi ad appassionarsi in qualche modo alla gestione della cosa pubblica, che non si può limitare alla mera delega agli eletti.
Una sorta di mito, sbandierato quasi come una pozione magica. Che potrebbe essere vero. Ma nel mondo ideale. Lo è meno nel “mondo italiano”, sempre immemore del proprio passato; un mondo che ha una sua connotazione specifica, evidenziata appunto dalle ripetute inchieste su voti comprati o venduti che si sono susseguite, negli anni e in varie parti del Paese. Ammettiamolo: una fetta non trascurabile del corpo elettorale è orientata, nelle scelte davanti alla scheda, a premiare i cosiddetti “signori delle preferenze”, i vari “mister” o “lady” che detengono (tramite varie modalità, spesso poco ortodosse) un rilevante pacchetto di voti e lo mantengono nel tempo oppure lo spostano a sostegno di altri candidati. Una modalità, insomma, degna più di un rapporto tra “notabili” e clientes alla ricerca del proprio utile particolare che della selezione, da parte dei cittadini, della classe dirigente migliore per il bene della collettività. E che oscura i partiti stessi se, come in questo caso, Anita Maurodinoia, pur provenendo dal centrodestra, si è ritrovata “attratta” nella giunta regionale di Michele Emiliano, che nasce come pm paladino dell’antimafia. Un girone vizioso dove, per il candidato competente e onesto, il più delle volte è purtroppo un’impresa pari a una corsa in salita ottenere quella mole di voti necessaria per l’elezione.
Non si tratta di essere dei nostalgici del referendum di Mariotto Segni che nel giugno 1991, agli albori della successiva Tangentopoli, abrogò appunto il meccanismo delle preferenze multiple allora in vigore, ancora più nefasto perché era molto diffuso il rituale delle “cordate” di candidati, da votare rigorosamente tutti assieme (e guai a chi “sgarrava”) e tutti portatori delle medesime istanze. Si tratta, semmai, di analizzare la realtà delle cose. Certo, il voto di preferenza è rimasto l’unica ancora democratica che mantiene larghi strati dell’elettorato partecipi del processo rappresentativo, a maggior ragione alla luce del tramonto organizzativo dei partiti. Però, più che un’ancora di salvezza rischia di diventare una variabile indipendente - e a volte impazzita - del sistema.
Per completezza, va detto che i leader politici hanno perso una formidabile occasione lungo questi anni: i listini potevano essere interpretati anche come un’opportunità per far entrare nelle istituzioni “eccellenze” e personalità poco inclini alle relazioni politiche, un po’ come per i senatori a vita (altre figure, peraltro, che ora si vorrebbe eliminare con la riforma del premierato). Invece sono stati usati per riempirli di fedeli e fedelissimi scelti dai capi segreteria, premiando più l’allineamento ubbidiente alla linea del capo che le competenze specifiche.
Nemmeno l’alternativa, tuttavia, appare allettante, anche se quell’opzione di scelta manca a molti. Per non buttarla via assieme a tutto il resto, non rimane che un’unica via di mezzo per cambiare: prevedere e diffondere il più possibile. a seconda sempre del tipo di elezioni, il meccanismo dei collegi uninominali, dove la competizione si gioca fra candidati singoli indicati dalle coalizioni o da partiti a se stanti e dove l’elettore può avere una maggior consapevolezza delle alternative in campo tra le figure che va a scegliere. Anche questo non è detto che sia un meccanismo perfetto, nessuno lo è di per sé. In ogni caso, potrebbe essere però un passo avanti rispetto a quella subcultura politica che ha ridotto oggi il voto da atto supremo di libertà a gesto del valore pari a una singola banconota.
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