Il direttore risponde. Volontari in carcere: presenza di speranza
Vittorio Guercio, Torino
Chiarisco subito la sigla che lei usa con familiarità, ma che può risultare ignota a tanti nostri lettori: «Avp» sta per «assistenti volontari penitenziari» e designa le persone che, come si intuisce dalla sua testimonianza, offrono solidarietà e condivisione ai detenuti e talora anche alle vittime di reati. Da giorni le cronache – e il nostro giornale in particolare – riferiscono dei problemi gravissimi che affliggono le nostre carceri, nelle quali il sovraffollamento si accompagna a un aumento drammatico dei suicidi. Siamo in presenza di difficoltà strutturali che diventerebbero ancora più esplosive se non ci fosse l’opera di chi, come voi volontari, si presta generosamente per offrire vicinanza umana ai carcerati. E bastano le sue parole, asciutte e senza alcuna caduta nel sentimentalismo, per dimostrare il valore straordinario della vostra azione. Spesso, assieme ai cappellani, siete una delle rare presenze che testimoniano al detenuto che per lui c’è una vita oltre la reclusione; che il mondo esterno non è del tutto impermeabile alle angosce di lui che si trova dietro le sbarre. Senza qualcuno che offra attenzione mentre la pena viene scontata, il carcere rischia di essere un pozzo senza fondo nel quale crescono i fantasmi più inquietanti, fino a far smarrire ogni valore alla vita. Raccolgo quindi volentieri la sua sollecitazione a prestare attenzione maggiore alla realtà del volontariato carcerario: non serve che sottolinei come il nostro sia peraltro l’unico quotidiano che ha da anni una finestra settimanale aperta sulla realtà del mondo recluso con la rubrica «Primo raggio» tenuta da Vincenzo Andraous proprio in questa pagina. Un caro saluto, rinnovando l’apprezzamento e l’augurio per l’opera meritoria svolta da lei e dai suoi colleghi volontari.