Lo choc Covid. Viviamo un tempo straordinario, la politica sappia indicare il futuro
Se il 3 marzo di tre anni fa, giorno delle ultime elezioni, ci avessero raccontato gli sviluppi della legislatura non ci avremmo creduto. Prima l’inattesa alleanza giallo-verde, poi il governo giallo-rosso, e a seguire una crisi nel mezzo della pandemia con la nascita di un esecutivo di unità nazionale con dentro (quasi) tutti i partiti. Un gioco delle parti degno di Pirandello.
Ma non è solo questione di governo. A sinistra, le dimissioni di Zingaretti hanno fatto affiorare le inguaribili lacerazioni del Partito Democratico. Benché diventato 'partito sistema', sin da quando è nato il Pd è tormentato da una continua crisi d’identità. Difficoltà che lo accomuna agli altri grandi partiti di sinistra che un po’ dappertutto (almeno in Europa), stentano a trovare un assetto stabile. Fino al punto di provocarne, in qualche caso, l’uscita di scena (come nel caso francese). A destra, Forza Italia è poco più che un fantasma. Berlusconi rimane il leader indiscusso ma non è più in grado di essere propulsivo. Agli azzurri e alle azzurre rimane il riferimento del Partito popolare europeo. Ma c’è una bella differenza con Ursula von der Leyen.
Salvini ha sorpreso tutti cambiando repentinamente la posizione gridata per anni. Diciamo che lo Zelig della politica italiana ha preso atto della sconfitta di Trump, provando a riposizionarsi al centro. Ma restano molti dubbi: si tratta di una conversione sincera? Nel frattempo, in queste prime settimane, Salvini non perde occasione per tenere viva la sua verve antisistemica con iniziative a volte stravaganti. Come l’idea di chiedere all’ambasciatore indiano le dosi di vaccino Astra-Zeneca. La verità è che è difficile capire che cosa oggi sia la Lega: non più federalista, (forse) non più populista. Un’indeterminatezza che si traduce nelle profonde divisioni che la attraversano.
Il M5s sembra un quadro surrealista. Prima ha fatto un governo con la destra. Poi uno con la sinistra. Adesso è nel governo di tutti. In tre anni, il Movimento ha perso circa un terzo dei propri deputati. E, per uscire dall’impasse, i pentastellati pensano adesso di affidarsi alla leadership di Conte, che è un centrista. Incapace di trovare un punto di ancoraggio, con la sua inconsistenza, il partito di Grillo ha involontariamente costituto, in questa legislatura, un fattore di stabilità parlamentare. Ma per quanto i sondaggi lo diano in risalita, rischia di diventare un elemento di deflagrazione del sistema politico italiano: realisticamente, oggi, chi può dire quale possa essere il suo futuro?
È in questo impressionate vuoto politico che ha potuto nascere il governo Draghi, il quale, tra la pressione dell’emergenza pandemica, il semestre bianco legato alla elezione del capo dello Stato, l’occasione storica del Recovery Fund e la crisi conclamata dei partiti si trova ad avere davanti due anni pieni di lavoro. Speriamo che l’esecutivo – fedele a quello spirito di ricostruzione che Draghi ha recepito dall’invito del capo dello Stato – riesca a ottenere quei risultati che un po’ tutti i cittadini si aspettano. A cominciare dalla campagna vaccinale. Senza farsi prendere la mano da tentazioni tecnocratiche che lo allontanerebbero fatalmente dall’opinione pubblica.
La crisi del sistema politico italiano non potrebbe essere, insomma, più evidente. Essa nasce dal sommarsi degli endemici problemi interni con il cambio d’epoca che stiamo vivendo. All’origine di queste convulsioni vi è l’inadeguatezza di buona parte del ceto politico di fronte a questioni che sono di una complessità mai vista.
Con la pandemia, molte cose sono già cambiate. E altri cambiamenti seguiranno a ritmo incalzante. La vita concreta dei cittadini è messa a dura prova. Il disorientamento è diffuso. Occorre fare scelte chiare: in quale sistema di alleanze internazionali ci si vuole collocare? Cosa si intende fare per tenere insieme le esigenze di innovazione e aumento di produttività con i ritardi e la fragilità di molti? Quale prospettiva di senso è possibile costruire nei confronti di un futuro percepito più come minaccia che come una opportunità? Come si pensa di combattere in modo non assistenzialistico la disuguaglianza, trasformandola semmai in una leva per il rilancio dell’economia? Come riconciliare l’urgenza di una transizione ecologica con l’esigenza di protezione del lavoro?
Nel definire l’utilizzo delle risorse messe a disposizione dall’Europa il governo in carica ha la concretissima possibilità di tracciare le linee di fondo per lo sviluppo del prossimo decennio. I partiti, dal canto loro, hanno la possibilità di darsi un tempo ragionevolmente lungo (due anni) per riposizionarsi nel quadro della nuova epoca storica, mettendo a punto una visione coerente da proporre agli elettori e selezionando nuovi gruppi dirigenti attrezzati per governare la prossima legislatura. E per decidere insieme il quadro delle regole istituzionali con cui giocare la prossima partita del consenso e della responsabilità (a cominciare da una legge elettorale che permetta di governare). Ma tutto questo richiede un po’ di lungimiranza. La capacità di alzare lo sguardo al di là della contingenza. Non si vince la partita alle prossime amministrative (spostate a ottobre), ma alla fine della legislatura.
Il tempo che viviamo è straordinario. Lo choc della pandemia lascerà ferite profonde. Non ci si dimentichi di Weimar, quando la democrazia tedesca sprofondò nel caos di fronte ai tanti problemi lasciati in eredità dalla prima guerra mondiale. Una cosa è certa: tra i politici oggi sulla scena si salverà solo chi saprà decidersi a guardare davvero al futuro. Indicando la via per accompagnare il Paese lontano dalla risacca della sua crisi. Speriamo siano molti.