Opinioni

L'aumento del disagio psicologico. Viviamo di più ma con l'ansia

Carla Collicelli venerdì 8 maggio 2015
Gli italiani vivono sempre più a lungo e la speranza di vita alla nascita è ormai di 85 anni per le donne e di 80 per gli uomini. Ma come viviamo? Aumentano le patologie croniche, che ci accompagnano per molti anni e non una alla volta, ma in forma plurima. Soprattutto aumenta il disagio psicologico e mentale, specie tra i giovani sotto i 34 anni, tra gli stranieri, tra le donne e i disoccupati, tra i cittadini del Nord. Il disturbo più diffuso è la depressione, che coinvolge secondo i calcoli dell’Istat 2.600.000 persone, e più della metà sono donne. Ma anche 1 anziano su 5 soffre di depressione. In posizione sfavorevole ci coglie anche il confronto internazionale. Secondo Eurobarometro il 21% degli italiani si sente escluso dalla società, contro il 9% della media europea e gli intervistati italiani sembrano avere uno stato emotivo più negativo rispetto alla media sulla base di una serie di domande poste ai diversi campioni europei. Secondo l’Aifa, l’Agenzia del Farmaco, l’acquisto degli antidepressivi in Italia è aumentato dal 2004 del 4,5% all’anno. Per il Censis, che ha messo assieme i dati delle Asl nel periodo 2001-2009, gli aumenti sono stati nell’ordine del 114%. Il Cnr (dato 2011) ha calcolato che usano tranquillanti e ansiolitici 5 milioni di italiani (di cui più di 3 milioni donne), 4 milioni i sonniferi e 2,2 gli antidepressivi. Il 25% dei lavoratori europei afferma di aver affrontato l’esperienza dello stress lavoro correlato e l’80% dei manager si rivela preoccupato dallo stress. Aumentano i soggetti che hanno necessità di aiuto psichiatrico o psicologico, soprattutto tra gli over 40. L’elenco delle cattive notizie potrebbe continuare. Che le condizioni di vita dei cittadini italiani e del mondo siano peggiorate, anche e soprattutto dal punto di vista del benessere psicologico, è noto da tempo, e se ne è trattato a proposito dei rischi della globalizzazione, ma anche della crescente industrializzazione tecnologica. È ad esempio del 2008 l’indagine mondiale condotta in 10 metropoli del mondo (Londra, Parigi, Roma, Mosca, Mumbai, Pechino, Tokyo, New York, San Paolo, Il Cairo) da cui emergeva che il 90,2% della popolazione dichiarava piccole ansie quotidiane, il 42,4% avvertiva con maggiore intensità una o più angosce, l’11,9% si sentiva sopraffatto dalla paura ed il 24% avvertiva una condizione di incertezza. Nel corso degli ultimi anni la situazione sembra essere ulteriormente peggiorata, in particolare a causa della metamorfosi sociale in atto: anziani sempre più soli, stranieri sempre più isolati, stallo della crescita e soprattutto della redistribuzione, società densa ma frammentata, egoismo autoreferenziale e indebolimento dei legami. Assistiamo contemporaneamente alla crescente verticalizzazione del potere in tutte le istituzioni e alla progressiva perdita di fiducia nelle forme di governo. La comunicazione e le nuove tecnologie informative aggiungono elementi di problematicità, con l’allentarsi delle connessioni e il potere sottile dell’omologazione televisiva. La ambiguità rispetto alla rigenerazione del capitale sociale, alla procreazione e alla stabilità familiare fanno il resto. Non ci si rende conto, apparentemente, soprattutto a livello di governo politico delle nostre società, che l’insieme delle circostanze e dei trend elencati mina non solo il benessere sociale ed economico, ma anche – e soprattutto – quello psicologico e mentale. Eppure non è certo un futuro di anziani depressi quello che desideriamo. La soluzione può risiedere solo nell’investimento politico, economico e sociale sulle forme di ricostruzione del tessuto sociale, dei legami e dello scambio reciproco. E se non ora, quando?