Vita. Il suo nome sarà Emanuele. Non doveva nascere e vedrà la luce
Quando chiamano loro, Gisella, Marta, Gigi, Franco non posso non rispondere immediatamente. Di certo c’è una vita da salvare. È successo ancora. Sono andati, come al solito, nei pressi degli ospedali dove si praticano anche aborti. Sempre, in modo semplice, educato, rispettoso riescono a incontrare qualche donna che intende abortire. Offrono un volantino, un sorriso, un saluto, un’alternativa, un aiuto concreto. C’è chi ringrazia e passa oltre, chi non li degna di uno sguardo, chi, per la strada, o al tavolo di un bar, apre loro il cuore. È successo ancora.
Sono due giovani sposi, hanno già un bambino, quest’altra, inaspettata, gravidanza li ha impauriti. Il lavoro precario non dà loro molte garanzie per il futuro. È terribilmente vero. Sono partiti da casa con il cuore a lutto. Non avrebbero voluto farlo. Per per convinzione profonda, per istinto o forse perché hanno ancora nelle orecchie gli insegnamenti ricevuti durante il corso di preparazione al matrimonio. Accolgono l’invito, si fermano, parlano, si sfogano. Alla fine piangono; come due bambini. Piangono, gettandosi tra le braccia di questi fratelli sconosciuti. Mio Dio! Se solo potessero contare su un piccolo aiuto, se solo ci fosse qualcuno pronto a dare loro una mano, scapperebbero via. Gigi mi chiama.
Sto ancora a casa, pensoso e addolorato per il funerale del piccolo Giorgio concelebrato nei giorni scorsi. A soli tre anni, un cancro devastante e impietoso se l’è portato via, dopo tante sofferenze. Era figlio unico di genitori giovanissimi, Giorgino. Per l’intelligenza umana, la sofferenza degli innocenti rimane una vetta da scalare a mani nudi e piedi scalzi. Ho deciso di smetterla di continuare a interrogare scrittori, filosofi, poeti, credenti e non credenti, per trovare una qualche risposta a questo mistero immenso. Non si è lasciato indagare ieri, continuerà a opporre resistenza oggi.
Solo dalla croce di Cristo può arrivare un barlume di luce. La minuscola bara bianca nella quale riposava Giorgio mi era apparsa all’improvviso come la culla nella quale fu deposto pochi mesi prima. Nasceva alla vita, allora, rinasceva alla Vita oggi.
Gigi mi passa il papà del bimbo che stava per essere scartato. È commosso. Ci diciamo poche cose. Bastano. «Vieni, stasera... ti aspetto. Forza! Lascia stare, fidati, torna a casa...». Accoglie l’invito con gioia. Sento che si è liberato di un peso insopportabile. Ringrazio Dio. Sono venuti. Ci siamo incontrati, abbiamo parlato; ci aiuteremo, ci vorremo bene.
La vita è fatta d’ incontri. La Provvidenza, umile, discreta, silenziosa, vera, cerca di farsi spazio. Di arrivare, senza forzare la libertà che ci è stata data in dono, di orientare al meglio le nostre scelte.
Dio passa. E passando non può che donare vita, vita in abbondanza, vita vera. Vita che straripa.
L’altro giorno, sorella Provvidenza, aveva dato appuntamento a questa coppia di giovani sposi. Aveva bisogno di qualcuno che gli dicesse: eccomi! Viva la vita. La mia, la tua, la nostra.
Quella del piccolo Emmanuele che nascerà alla fine dell’estate. Nessuno avrebbe potuto pensare per ognuno di noi, nel momento più delicato, più fragile della nostra esistenza, un posto più sicuro, più caldo, più sereno, dello scrigno intessuto nelle viscere della sua mamma. Non un "utero", una culla, un’incubatrice, ma una mamma che si fa grembo, culla, incubatrice.
Purtroppo, e lo diciamo col cuore lacerato, quel posto è diventato il più insicuro al mondo. E, in tanti Paesi, quel bambino – che ognuno di noi è stato – non ha diritto nemmeno a una difesa di ufficio.
Il popolo amante della vita deve darsi da fare di più per eliminare ogni probabile causa che spinge ad abortire. Gli Stati debbono fare il possibile, e anche l’impossibile, per essere accanto, o addirittura caricarsi sulle spalle, chi affronta una gravidanza imprevista, problematica.
Oggi, però, in questa Giornata per la vita, possiamo gioire. Possiamo regalare e chi legge e a papa Francesco, che chiede di raccontare più notizie belle che si può, questo semplice e speciale dono. Emmanuele vedrà la luce. E non sarà il solo grazie alla rete di amicizia e di umanità tessuta in ogni parte d’Italia da chi ama e serve la vita, ma lui ci sarà. È suo diritto. È nostro dovere.