Vita e morte, gli slogan non reggono. C'è solo un prossimo da riconoscere
Caro direttore,
vedo che i capigruppo alla Camera rispondono all’appello di Lorenzo Moscon: «La legge sul “fine vita” non aprirà all’eutanasia». Anche la legge 40 non doveva aprire all’eterologa. Anche la legge sulle unioni civili non doveva aprire al matrimonio gay e alla “stepchild adoption”. Quella di queste ore, alla luce del recente passato, non le sembra una promessa che – in buona o malafede – non verrà mai mantenuta e, anzi, la legge sul testamento biologico un cavallo di Troia che ha l’unico scopo di arrivare all’eutanasia? Buon lavoro.
Giovanni De Marchi Milano
Caro direttore,
bellissima la lettera di Lorenzo Moscon su “Avvenire” di venerdì 3 marzo, importanti e solenni (se non altro perché rivolti ai cittadini) gli impegni assunti su “Avvenire” di domenica 5 marzo da undici presidenti di gruppi politico-parlamentari di Montecitorio. Complimenti al nostro giornale per questa pagina di vita e verità, di confronto e di orizzonti. Questo è aiutare a far politica. Grazie.
Don Andrea Vena Bibione
Caro direttore,
il grido espresso con il gran titolo di apertura «Mai morte di Stato» apparso sulla prima pagina di “Avvenire” di domenica 5 marzo, non può e non deve essere limitato al no all’Eutanasia dei malati e dei disabili; deve con eguale forza essere diretto anche a quella “larvata eutanasia” che è l’aborto. Lo scriva, ripeta quel grido, perché giunga là dove è giunto il primo grido.
Don Emanuele Candido Spilimbergo
Non so, cari amici, dove porterà il lavoro che è in corso alla Camera attorno al testo della legge sul «fine vita», ovvero sulle Dat, le dichiarazioni di ognuno di noi su cure e trattamenti in caso di infermità o disabilità che desidera ricevere (o non ricevere) e che più di qualcuno preferisce chiamare “biotestamento”. Non so dire se si tratterà di un testo che in tutte le sue parti e con tutta la chiarezza necessaria – come ho chiesto anche nel mio editoriale di domenica scorsa – ribadirà il «no» all’eutanasia, disciplinando con saggezza le Dichiarazioni anticipate di trattamento, o se invece aprirà pericolosi spazi anche in Italia alle derive di altri Stati europei. Non sono nemmeno in grado di prevedere se questa legge si farà nella legislatura che si avvia a conclusione. Ma sono stato contento di poter accogliere, pur notando le diversità di tono e i tutt’altro che irrilevanti distinguo dei cari capigruppo parlamentari, la risposta che il mondo della politica ha saputo dare in modo così vasto e concorde, nella comune preoccupazione di offrire un sollievo non di maniera al timore autentico e davvero vibrante di un giovane disabile, Lorenzo Moscon, che si era sentito “assediato” e minacciato dalle affermazioni sulla dignità o meno di una vita umana non (più) “perfetta” di parecchi politici e opinionisti intervenuti sul doloroso suicidio assistito di Dj Fabo. Credo anche che sia valsa la pena di aiutare a sviluppare una riflessione empatica, profonda e il più possibile affrancata dagli slogan sull’eutanasia, comunque si realizzi questa decisione di darsi la morte che si vorrebbe trasformare in un “servizio” garantito o, almeno, regolato dallo Stato. Non si può farla facile, perché non lo è. Per nessuno.
Mai morte di Stato. Un titolo semplice e netto, che il caro don Emanuele ci chiede di ripetere e ripetere a ogni giusto proposito. Domenica scorsa abbiamo scelto di metterlo in apertura e, idealmente, nel cuore della nostra prima pagina. E abbiamo scelto di comporlo senza virgolette e, dunque, non attribuendo l’affermazione che contiene soltanto agli importanti parlamentari che avevano deciso di dialogare con un concittadino che li aveva interpellati in modo coinvolgente e incalzante su un tema duro e purtroppo attualissimo come l’eutanasia. Quel titolo è, infatti, la sintesi e la conferma di un impegno morale, di una visione politica (nel senso più alto del termine), di un anelito civile e religioso che portano a resistere a tutta intera la «cultura dello scarto» che papa Francesco denuncia con tanta efficacia e che ha nelle pratiche di eliminazione della vita nascente uno dei suoi segni più terribili. I lettori lo sanno che non mi stanco di ripetere che né la vita né la difesa della vita si possono fare a pezzi... Quando siamo davanti alla vita e alla morte gli slogan non reggono. Ci sono solo una realtà da non manipolare, e persone spesso fragilissime e totalmente dipendenti da riconoscere, “guardandole in faccia”, e alle quali farsi prossimi.
Marco Tarquinio