Opinioni

Il direttore risponde. Sulla vita e sull'amore si può dialogare

Marco Tarquinio sabato 19 aprile 2014
Caro direttore,siamo i genitori di Max Tresoldi, il ragazzo che si è svegliato dopo 10 anni di "stato vegetativo irreversibile", come diceva la diagnosi. Venerdì 11 aprile abbiamo partecipato al Convegno "Ai confini della vita" organizzato nella città di Pesaro dai Lions Host-Della Rovere. A distanza di qualche giorno, alla vigilia di un giorno davvero speciale – la Pasqua di Risurrezione – vorremmo raccontarglielo a modo nostro. Quando ci hanno invitato eravamo indecisi, temevamo si trattasse del solito incontro che non porta nulla di nuovo, nel quale ognuno dice la sua e si esce uguali a prima. Con grande soddisfazione nostra e di tutti, invece, per la prima volta si è dato voce a relatori davvero a conoscenza degli stati vegetativi: il professor Massimo Gandolfini, primario di neurochirurgia alla Fondazione Poliambulanza di Brescia e il professor Roberto Piperno responsabile "Casa dei Risvegli Bologna". Ma anche a noi testimoni: Beppino Englaro papà di Eluana, Mina Welby co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni, Max e noi due, Lucrezia ed Ernesto, suoi genitori... Tutti abbiamo avuto lo stesso tempo per parlare e, senza scontrarci, abbiamo raccontato le nostre esperienze. Il dibattito è durato addirittura quattro ore eppure nessuno si è alzato per andare via, alla fine il pubblico è rimasto ancora per fare domande a noi, a Max, agli scienziati. Le persone erano impressionate dalle nuove scoperte, sopratutto dalla competenza con cui i due neurologi spiegavano che le persone in stato vegetativo non vanno più chiamate così, in quanto in loro è ormai scientificamente provato che la coscienza è viva e loro capiscono di essere amati e curati. Cose che io, da mamma, ho sempre visto e raccontato, ma che spiegato con esami clinici alla mano ha avuto un effetto impressionante. Nessuno alla fine aveva più intenzione di parlare di eutanasia, ma solo di supporti a questi nostri pazienti. Il signor Englaro ancora una volta ha affermato di aver rispettato la volontà della figlia, e che nella sua famiglia ha sempre regnato il rispetto per la persona. Noi abbiamo semplicemente raccontato di aver seguito una strada completemente opposta e di aver privilegiato la vita di nostro figlio, portando avanti i valori e gli insegnamenti delle nostre famiglie, che dicevano di aiutare il più debole. Max ogni volta che partecipa a un incontro scrive un pensiero e questo è quello che ha scritto in quell’occasione: «Sono un ragazzo fortunato, perché anche quando ero chiuso nel mio corpo la mia famiglia ha creduto in me e oggi porto in giro la bellezza e la cultura per la vita». So che il presidente Napolitano ha chiesto di fare chiarezza sulla neuroscienza, per poi fare leggi giuste sul fine vita e penso che a Pesaro questo sia stato fatto in maniera eccellente, senza mai parlare di verità di fede (anche se noi l’abbiamo, la fede!), di politica o di altro, ma solo di scienza. E di umanità. Se anche il Parlamento avesse l’umiltà di ascoltare gli esperti e organizzare una tavola rotonda come questa, noi ci sentiremmo più tranquilli. Aggiungo che il dibattito ha avuto uno svolgimento altamente qualificato anche grazie alla preparazione in materia della moderatrice, la vostra inviata Lucia Bellaspiga, che ha saputo coordinare un così delicato argomento con gentilezza ma anche conoscendo tanti fatti e leggendo molte notizie che ha tratto da "Avvenire", e non per patriottismo di testata, ma perché il vostro è l’unico giornale che informa su questi argomenti, come ha riconosciuto anche la signora Welby. La ringraziamo per l’attenzione, un cordiale saluto e un augurio di buona Pasqua.Max, Lucrezia ed Ernesto TresoldiMi piace, cari amici, questo vostro ulteriore e limpido sguardo sull’incontro pesarese, così intenso e partecipato e così felice nel suo esito, del quale avevamo già dato conto. L’unico aspetto rimasto in ombra, e non per caso, era il prezioso ruolo ad adiuvandum esercitato dall’ottima collega Lucia Bellaspiga, che per noi si era fatta anche cronista dell’evento e, dunque, aveva comprensibilmente evitato di parlare di sé. Grazie, perciò, per l’apprezzamento del suo e nostro lavoro e per il riconoscimento del servizio che cerchiamo di rendere attraverso le pagine di "Avvenire" a chi non si rassegna a "verità" tristi (e spesso malamente preconfezionate) sulle vite difficili delle persone in cosiddetto stato vegetativo o di minima coscienza e delle loro famiglie. Che non sono esseri umani a metà, uomini e donne «già morti». Che non meritano accanimenti terapeutici, ma non possono diventare vittime designate di insopportabili abbandoni terapeutici o essere privati di acqua e cibo. Lontano dagli slogan e dagli interessi (economici e/o ideologici) il dialogo si può ben sviluppare, con umanità e rigore, ascoltando davvero gli scienziati e non tacitando quegli specialisti che sanno valutare la realtà e ascoltare la propria coscienza... Noi, come voi, continueremo a lavorare e a sperare che un simile dialogo prevalga e porti frutto. Ricambio con gioia il saluto e l’augurio per la Pasqua che già viene.