Opinioni

L'omicidio del 15enne di Aversa. Violenza e fragilità

Maurizio Patriciello martedì 9 aprile 2013
Aversa, città normanna, provincia di Caserta. È qui che nella notte tra sabato e domenica un quindicenne, Agostino, viene ucciso a coltellate. A sferrargli i colpi Emanuele, che di anni ne ha solo diciassette. La città si sveglia in preda all’angoscia. Si domanda cosa stia accadendo a questi ragazzi che non sanno più giocare, né divertirsi. Che non sanno distinguere la realtà dalla finzione. Aversa, città d’arte e di cultura. Chiese antiche, abbazie, monasteri benedettini e francescani testimoniano un passato glorioso e ancora giovane. A vocazione soprattutto agricola, Aversa è ricordata anche per la straordinaria mozzarella di bufala, che il mondo ci invidia. Aversa, città vescovile con stupenda cattedrale e seminario nel quale hanno studiato fior di preti, vescovi, professionisti, operai, impiegati. Purtroppo è nel circondario di questa grande città che negli anni passati nasce e si sviluppa uno dei clan più feroci d’Europa, quello dei Casalesi. La Chiesa aversana insieme a sociologi di fama ancora si interrogano sul come questa radice perversa e velenosa abbia potuto attecchire qui. Oggi l’Agro Aversano è in preda a una disoccupazione spaventosa. Intere famiglie sono ridotte alla fame. Con la povertà materiale si sviluppa anche quella spirituale. I figli in casa non stanno quasi mai. Passano il tempo in strada, al bar, in birreria. Stanno insieme, ma per fare cosa? Quando non c’è qualcosa di importante per cui impegnarsi, lottare, vincere, gioire anche la compagnia degli amici si fa noiosa. E diventano nervosi, irascibili. Basta un niente per far loro perdere le staffe. Parlano per ore di argomenti che non interessano nessuno, mentre i problemi veri rimangono sepolti nel cuore, nascosti sotto una scorza di sufficienza. Troppo si vergognano di confidare agli amici che non hanno nemmeno i soldi per comprare le scarpe. Intanto "quelle" scarpe sono diventate un simbolo di cui non possono fare a meno. La pubblicità martella di brutto non tenendo conto di chi andrà a colpire. Preoccupano le parole del presidente della Camera che pochi giorni fa confessava: «Ho imparato la sofferenza del mio Paese negli ultimi tempi. Non immaginavo che in Italia ci fosse tanta povertà». Non condanno, solo mi chiedo dove lei come altri siano vissuti sinora, anche se poi ha aggiunto che la lotta alla povertà «dev’essere la priorità di chi ha un ruolo nelle istituzioni». Giovani inesperti e fragili ma con il desiderio di apparire forti e determinati. Ecco che un coltello tra le mani può dare a un ingenuo adolescente l’illusione di essere il più forte. E si armano. A nostra insaputa. Di nascosto. Per mettere paura. Per sentirsi quello che non sono. Un detto nostrano recita: «Non farti pecora che il lupo ti mangia». Una menzogna alla quale in tanti acriticamente abboccano. Ragazzi che debbono fare i conti con un mondo virtuale, che sovente non riescono a distinguere da quello reale. Non capiscono che una coltellata non potrà poi essere cancellata con un clic. Un giovane è morto. Ancora sofferenza. Per i genitori. Per chi gli ha voluto bene. Per tutti noi. Ancora esami di coscienza per noi adulti che non riusciamo a raccapezzarci: «Dove abbiamo sbagliato? Da dove possiamo ricominciare?». Certamente dall’esempio di una vita vissuta con serenità, onestà, sobrietà. Vissuta nella pace e nella concordia. Certamente da quei valori che certuni vorrebbero cancellare senza rendersi conto dell’abisso spaventoso che andrebbero a scavare. Occorrono idee chiare, testimoni di vita e maestri eccellenti per far fronte ai falsi maestri portatori di malessere, di noia, di morte. Ad Aversa un quindicenne è morto accoltellato, gettandoci nello sconforto. A ben guardare, però, le vittime sono due. Agostino, riverso a terra, ed Emanuele che, stupidamente, inutilmente, violentemente gli ha rapinato il dono più bello che tutti abbiamo ricevuto da Dio: il dono della vita.