Cronaca e Quaresima. Viene il giudizio nel Metaverso. Ma verrà alla fine dei giorni
E venne il giudizio nel metaverso. Non per gioco, per ipotesi o per simulazione. Ma sul serio, con valore legale. Qualche giorno fa il tribunale del dipartimento di Magdalena, distretto di Santa Marta, in Colombia, ha tenuto udienza in un ambiente digitale immersivo ove le parti si sono digitalmente costituite usando occhiali per la realtà aumentata e una rappresentazione di sé nelle forme di avatar. L’oggetto del contendere riguardava la riscossione di alcune multe ed è stata la parte convenuta, il Sindacato Temporaneo di Transito e Trasporti di Santa Marta (Siett), a richiedere l’inedita ritualità. Così ha commentato il giudice di merito, accogliendo e commentando il fatto: «L’uso di questo tipo di tecnologia immersiva mira a rendere effettive le attuali tendenze procedurali, poiché consente la presenza nello spazio virtuale anche quando le persone si trovano fisicamente in un altro luogo, senza violare le procedure di garanzia e dei princìpi di giustizia digitale».
Fece discutere, durante la pandemia, il caso di una condanna a morte delibata in Nigeria via Zoom: era la primavera del 2020, ed evidentemente il boia non poteva aspettare che si potesse tornare in presenza. La morte fisica venne decisa senza il concorso di alcuna fisicità, o solo con una fisicità mediata dallo schermo. Casi molto diversi con esiti e peso legale e antropologico ben differente, tuttavia in qualche modo coerenti con una tendenza che ci fa riflettere. La fatica della presenza, i suoi costi, le sue correlazioni e conseguenze premono sulla realtà spingendola verso il virtuale. Abbiamo tutti imparato quanto tempo e risorse possano essere liberate usando il digitale in vece della presenza fisica. Tutti abbiamo risparmiato ore di viaggio e scomodità connesse per riunioni di una manciata di ore che avrebbero richiesto giorni per gli spostamenti. Bene lo sanno coloro che hanno funzioni legali che investono ore per presenziare a un rinvio, a una costituzione di parte del tutto formale, e via dicendo.
Come spesso accade quando la tecnologia ci facilita la vita, occorre riflettere però su cosa fare del tempo e delle risorse risparmiate. Così come riflettere su quando tempo e fatica non possono essere sacrificati in nome della semplice efficienza di un sistema. Questa generazione deve rispondere non solo alla domanda sul quando è importante essere presenti, ma anche sulle modalità. Digiuno, preghiera ed elemosina sono una straordinaria chiave di accesso a queste risposte perché sono la risposta alle tentazioni di base. Appetiti, progetti e possesso sono le tentazioni che Gesù vince nel deserto, quelle medesime che ogni tempo, compreso il contemporaneo, ci offre. Nelle forme dell’ubiquità, della virtualità e della replicabilità infinita e gratuita. Essere ovunque e con chiunque, ma non essere davvero con nessuno. Costruire mondi alternativi, continui e cangianti ma senza vivere il qui e ora della realtà concreta, talora piatta e scomoda. Attingere e distribuire, ma senza riconoscere il valore attinto e senza pagarne mai un costo effettivo, rendendo privo di valore ciò che non ha richiesto lo scambio di alcun valore. È la nostra contemporaneità digitale incorporea, ove il processo di creazione di valore si è trasferito così tanto nell’immateriale da rischiare di non farci più percepire il fatto che il reale ha valore in sé stesso. Come tale.
Chi crede è chiamato a vivere in questo periodo quaresimale alcuni impegni nella sua realtà. Il digiuno ci restituisce il senso del corpo e delle sue istanze, anche del dolore e delle sue frontiere, là dove lo Spirito ha sempre parlato all’essere umano rivelandogli la sua dignità trascendente come sul Tabor. La preghiera restituisce la fatica e la necessità di relazioni univoche ed esclusive, fondatrici e non frammentabili ove nell’unità di tempo si costruisce la comunione, in luogo della molteplicità meramente numerica. Infine, l’elemosina, ove la rinuncia non è fine a sé stessa ma investe nella fraternità, e l’io è chiamato a riconoscere un noi concreto e non ipotetico, senza il quale l’io stesso perde di ogni senso e significato. Digiuno, preghiera ed elemosina esercitate nel reale ci restituiscono consapevolezza e formazione nel discernimento del virtuale. Perché un giudizio verrà, non nel metaverso ma alla fine del mio tempo, e in quel giudizio io vorrei essere capace di consegnare me stesso a quella presenza reale e amante che mi ha convinto materialmente in terra, per essere eternamente vissuta nella totalità della comunione spirituale in cielo. Lieto di aver usato la tecnica, lieto di averne fatto a meno al tempo opportuno e nelle occasioni opportune.