È lo stesso, o cambia qualcosa? Davanti a casi come quello emerso a sorpresa ieri dal Comune di Milano bisogna sentirsi a un bivio, e decidere che strada imboccare. A Palazzo Marino c’è chi ha lavorato sodo per cancellare le dizioni «padre» e «madre» dai moduli per l’iscrizione alle scuole comunali milanesi sostituendole con la definizione «genitore», contenitore neutro che si presta a ogni declinazione. Il governo "arancione" l’ha fatto senza sentire il bisogno di mettere questa scelta – evidentemente tutt’altro che irrilevante, e per più di un aspetto – al centro di un ampio e democratico confronto davanti alla città, agli elettori e ai loro rappresentanti in Consiglio comunale. Diciamo pure di nascosto. E adesso anziché scusarsi mostra con orgoglio contenuti e obiettivi della "riforma", che è più onesto definire col suo esatto nome: colpo di mano. La giunta Pisapia appalta l’eliminazione di due parole decisive per l’umanità di tutti come papà e mamma a una consigliera comunale (non s’è neppure dovuto scomodare un assessore...), Rosaria Iardino, che un comunicato del Pd definisce «nota paladina dei diritti della comunità omosessuale», e i milanesi lo vengono a sapere andando a iscrivere i figli a materne e asili. Certo, discuterne avrebbe comportato il noioso confronto con chi ritiene che ci sia una differenza insormontabile tra due parole che dicono tutto della natura e della generazione umana e un’altra che ha ormai assunto una paradossale vaghezza asessuata – un tempo impossibile, anzi inimmaginabile – e che perciò, come spiega il Pd locale, «tiene conto dei tempi ma soprattutto delle esigenze delle tante famiglie omogenitoriali che vivono a Milano».Al bivio tra la differenza e la neutralità (delle parole, dei concetti ma anche delle opinioni) troviamo la consigliera Iardino a spiegarci che «la mia non è certo una battaglia contro quel che "padre" e "madre" significano nell’immaginario della gente. Ciascuno è libero di concepire la famiglia come meglio crede». Ringraziando la consigliera per la gentile concessione, facciamo rispettosamente notare che rimuovere «madre» e «padre» non lascia le cose come prima, proprio perché si tratta di una scelta intenzionalmente e dichiaratamente orientata a togliere di mezzo, con le parole, il concetto stesso della differenza sessuale come fondamento della famiglia e della sua apertura alla generazione. Dunque, sulla scena pubblica – che è quella che conta, come la consigliera sa bene – papà e mamma per l’amministrazione Pisapia non avrebbero più diritto di apparire. E questo, no, non lascia «ciascuno libero di concepire la famiglia come meglio crede»: perché il Comune di Milano sta provando a dire su carta intestata che la famiglia edificata sull’unione di un papà e di una mamma non conta, non sul piano della cittadinanza, almeno. Si vuole che prevalga l’in-differenza. Ma noi indifferenti non possiamo restare. E chiediamo di ripensarci.PS Anche a Venezia la consigliera delegata ai diritti civili Camilla Seibezzi giura che «non c’è nulla contro le famiglie tradizionali», e intanto dà un bel colpo di spugna pure lei a mamma e papà sui moduli scolastici, come se fossero parole imbarazzanti. Ci aveva già provato, invano, a fine agosto 2013: adesso che pare esserci riuscita prova a raddoppiare con i libri di testo anti-discriminazione, cioè filo-gender. Aperta la breccia, l’ideologico esce a fiotti.